La censura di Machiavelli Dal XVI secolo in poi, la censura libraria divenne per la Chiesa e per le monarchie europee uno degli strumenti più efficaci per il controllo della circolazione delle idee. Presso il concilio di Trento la necessità di controllare il mercato editoriale e con questo gli stessi canali di depravazione del clero - la cui riforma morale fu uno dei grandi temi del Concilio - venne ampiamente discussoi. Ne consegue che fra le opere censurate dalla Chiesa dalla fine degli anni '50 del XVI secolo, figurassero quegli autori che, come Boccaccio, avevano ironizzato e criticato il clero per la loro corruzione morale constatando che ? quanto alle sette si vede ancora queste rinnovazioni essere necessarie por lo essempio della nostra religione; la quale si non fusse stata ritirata al suo principio da San Francesco e da San Domenico sarebbe al tutto spenta ? e furono sì potenti gli ordini loro nuovi, ch'ei sono cagione che la disonestà de' prelati e de' capi della religione non la rovini; ? che [i prelati] danno loro [i popoli] a intendere ? che sia bene vivere sotto l'ubbidienza loro, e se fanno errori lasciarli gastigare a Dio: e così quelli fanno il peggio che possono, perché non temono quella punizione che non veggono e non credonoii? che è ciò che obbiettò Niccolò Machiavelli (1469 - 1527) nei suoi Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, dove ebbe anche maniera di criticare quanti fossero ? d'opinione, che 'l ben essere delle cose d'Italia dipende dalla Chiesa di Roma, voglio contro ad essa discorrere quelle ragioni che mi occorrono: ? la prima è, che per gli esempi rei di quella corte, questa provincia ha perduto ogni divozione ed ogni religione: il che si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti disordini; perché , così come dove è religione si presuppone ogni bene, così dove ella manca si presuppone il contrario ? Non stupisce pertanto che, al pari del già citato Boccaccio, alle cui sorti la sua fama si intrecciò più volte nel corso dell'Età moderna, venisse messo al bando anche Niccolò Machiavelli, la cui opera omnia sarà proibita per più di tre secoli. Le idee machiavelliane non furono soggette alla sola stigmatizzazione romana, dal momento che dall'ultimo quarto del XVI secolo fino al primo del XIX le opere di Machiavelli vennero proibite anche nei regni della corona spagnola ed altrove, infatti «dal XVI al XIX secolo la "falsa coscienza" relativamente all'opera di Machiavelli si fissa nell'opinione pubblica in maniera del tutto unilaterale ? la migliore testimonianza della mitologizzazione dell'opera machiavelliana è nello stesso concetto, nello stesso termine di "machiavellismo"»iii È pertanto impossibile discernere la fortuna di Machiavelli da quella del machiavellismo. Lo sviluppo di questo concetto è strettamente collegato alla vicenda censurale delle opere machiavelliane. Fu così che il Segretario venne conosciuto attraverso chi lo criticò senza onere della prova e senza contenzioso - è questo il caso degli antimachiavellici spagnoli di cui avremo a parlare - oppure da chi lo contraffece per permetterne la circolazione spesso, però, storpiandoloiv. Il machiavellismo, una fra le varie possibili "letture specifiche" dell'opera machiavelliana (che non la riassume e che spesso anzi la contraddice) finì per diventarne il simbolo e decretarne la proibizione, in modo che solo con il passare del tempo divenne possibile uno studio più puntuale dell'opera machiavellianav. Come suggerito dalla professoressa catalana Puigdomènechvi, la censura è solo uno fra i molteplici fattori che determinarono l'impatto dell'autore italiano sul suolo straniero, come lo furono i regni della corona spagnola, ma di certo riuscì ad indirizzarne il successo. La censura italiana L'atteggiamento della Chiesa nei confronti dell'opera di Machiavelli può suddividersi in più tappe: una iniziale di aperto favore, che va dagli anni del segretariato fino alla pubblicazione post-mortem delle opere machiavelliane; una intermedia più negativa che va sviluppandosi fino ad arrivare ad un terzo momento, quello della condanna ufficialevii. La maggior parte delle opere machiavelliane vennero ideate e stese nel periodo che va dal 1512 al 1527, ovvero tra l'esilio e la morte dell'autore. In quegli anni, la Chiesa era rappresentata dalla famiglia Mediciviii. Malgrado i contrasti fra il segretario e la famiglia mediceaix, non sembra che l'opera di Machiavelli fosse disprezzata dai papi Medici, che anzi diedero prova di apprezzarla ed addirittura di patrocinarla. Machiavelli aveva infatti cercato di ristabilire la propria posizione agli occhi dei Medici, dedicando il Principe, scritto nel 1513, al neoletto papa Leone X Al Magnifico Lorenzo ? alla Vostra Magnificenza con qualche testimone della servitù mia verso di quella ? e se Vostra Magnificenza dallo apice della sua altezza qualche volta volgerà gli occhi in questi luoghi bassi, conoscerà quanto indegnamente io sopporti una grande e continova malignità di fortunax. Ma è con un'altra opera che il segretario conseguì il suo obiettivo: la Mandragola, per la cui rappresentazione Leone X nel 1520 a Roma fece appositamente costruire un teatroxi. Nel novembre dello stesso anno, Machiavelli ricevette dal cardinale Giuliano la commissione ad componendum annalia et cronacas florentinas et alia faciendumxii, ovvero quelle due opere che saranno completate e consegnate solo nel 1525 e che saranno i Discorsi sulla prima deca di Tito Livio e le Istorie fiorentine, che infatti sono dedicate a Giuliano, nel frattempo eletto papa: Al Santissimo et Beatissimo padre signor nostro Clemente Settimo lo umile servo Niccolò Machiavellixiii. Il favore di Clemente VII nei confronti di Machiavelli non si esaurì nell'apprezzamento della sua opera annalistica e si riflesse anche al momento di far pubblicare postume le sue operexiv. Nell'agosto del 1531, Antonio Blado d'Asola, che sarà editore della Camera Apostolica dal 1535xv, ottenne da Clemente VII il privilegio di stampare le tre maggiori opere del fiorentino, le Istorie, i Discorsi e il Principe; così come compare nel frontespizio dei Discorsi Con Gratie, et Privilegi di N.S. Clemente VII, et altri Principi, che intra il termine di X Anni non si stampino, ne stampati si vendino: sotto le pene che in essi si contengono. M.D.XXX.Ixvi. Il privilegio decennale in favore di Blado è di particolare rilievo rispetto alla prassi romana del primo Cinquecentoxvii. Il caso è ancor più particolare perché a tale eccezionale concessione ne subentrò subito un'altra: quella concessa nel dicembre '31 ai Giunti di Firenze, città natale di quelle opere che, desiderosa di vederle pubblicate, aveva già provveduto a preparare la stampa i Discorsi con dedica ad Ottaviano Medicixviii. Grazie allo stesso privilegio, Bernardo Giunta, che aveva già edito l'Arte della guerra nel 1521 ed era pertanto il partner «naturale» dell'editore romano, poté tornare a stampare il Principe e le Storie con dedica ad Alessandro Medicixix. Ciò constatando, Helena Puigdomènech sottolinea la rilevanza del papato mediceo ai fini della accettazione e protezione di cui godettero in Italia per tre decenni le opere di Machiavelli, un favore che trascende lo storico contrasto fra il Segretario della Seconda Cancelleria e sospetto antimediceo e la famiglia dei Signori di Firenzexx. Giuliano Procacci, invece, sostiene la consequenzialità geografica fra la biografia del segretario fiorentino e la mappa geografica dei suoi luoghi d'edizione, ciò a partire dalla prima iniziativa editoriale che «non partì da Firenze, ma da Roma, dove il Machiavelli, ?, contava probabilmente se non più amici e protettori, certo meno detrattori che nella sua patria»xxi. Per Frajese, viceversa, grazie al caso di Machiavelli si può descrivere una dimensione politica, quella dell'Italia del primo Cinquecento dove «Roma era abbastanza forte da imporre la propria influenza editoriale ed indebolire i centri concorrenti ma non abbastanza forte da imporsi come capitale politica del sistema italianoxxii». Macek, invece, sostiene che la rottura della promessa di privilegio all'editore romano, avesse un fondamento puramente economicoxxiii. Passando allo specifico delle edizioni del '31 - '32, è interessante sottolineare la scelta editoriale del Blado, la cui intera carriera fu patrocinata dalla curia (tanto che abbiamo visto, nella parte dedicata alla censura romana, che fu proprio per i suoi tipi che venne stampato l'Indice paolino del 1559) e tra le cui varie pubblicazioni di cardinali post-tridentini, Santi e classici greci e latini, l'opera del Machiavelli spicca come una isolata dissonanzaxxiv. Quella ad essere stampata, inoltre, non è la versione originale del manoscritto machiavelliano, bensì una copia piena di interventi e correzioni. Clamoroso il caso del capitolo XII del Libro primo dei Discorsixxv, nel cui Proemio si eliminarono tutti gli attacchi al cristianesimo ed alla Chiesa, i.e. la "religione" che venne sostituita dall'"educazione". Si omise, fra gli altri, il capitolo che tratta Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come l'Italia, per esserne mancata, mediante la Chiesa romana è rovinataxxvi. Né, peraltro, il contemporaneo editore Giunta si astenne dall'operare lo stesso tipo di taglixxvii, azione che si reiterò anche per le edizioni del Principe e delle Istorie, dalle quali venne epurato l'anelito repubblicano, di maniera che già prima di qualsiasi intervento censurale ? quanto comincia a circolare nel mercato librario sotto il nome di Machiavelli si differenzia fortemente dal testo originale ?xxviii Il significato dell'operazione editoriale del Blado fu da subito chiaro ai tipografi veneziani che ne «fiutarono l'affare e non persero tempo»; già nel marzo 1532 veniva concessa «licentia al fidelissimo nostro Marchio della Gata chel possi stampar li discorsi composti per Nicolao Malchiavello sopra Livio li quali sono stampati a Roma et già più se vendono in questa città per non esservi cosa in quelli contra la religione cristiana ne contra il Stato della S.ta romana Chiesa e della Ill.ma Signoria Vostra»xxix Nel 1534 usciva così l'edizione di Melchiorre de Sessaxxx dei Discorsi, mentre contemporaneamente iniziavano ad alzarsi voci apertamente contrarie all'opera del fiorentinoxxxi. Fra queste non può essere sottovalutata quella del Cardinal Reginald Pole (1500 - 1558)xxxii che non mancò di accusare il Segretario di essere "nemico del genere umano" e di aver scritto il suo libro «con il dito di Satana» nella sua Apologia ad Carolum V (1534)xxxiii. A Firenze Machiavelli fu indicato come mentore di quei principi che avevano decretato la fine della città: Carlo V e Clemente VIIxxxiv. In questo clima, nel 1549 da Roma a Firenze si sparse la voce che «Qui son vietate e proibite a vendersi tutte le opere del nostro Machiavelli e vogliono fare scomunica a chi le tiene in casa?xxxv» L'accusa divenne ufficiale nel 1552, quando il cardinal Politi pubblicò le Ennarationes con il passaggio "De libris a cristiano detestandis et a christianismo penitus eliminandis"xxxvi. L'anno precedente Politi aveva fatto appello direttamente al Concilio di Trento chiedendo la censura per le opere di Machiavellixxxvii. Nelle Ennarationes l'attacco a Machiavelli come autore "empio" e "ateo" è fortissimo e si ricollega a quanto già detto da Polexxxviii. Nel libro, edito «per i tipi dello stesso Antonio Blado che vent'anni prima aveva stampato il Principe e i Discorsixxxix», trova infatti spazio un capitolo dall'eloquente titolo Quam execrandi Machiavelli discurso et institutio sui principi. A metà degli anni '50, quindi, ciò che più sorprende, data la «serie di segnali premonitori di un'imminente condanna di Machiavellixl», è che Roma non si fosse ancora pronunciataxli. Nel giro di vent'anni vennero così edite diciannove ristampe in ottavo dei Discorsi, sedici del Principe e quindici delle Storie fiorentine; una quantità che presuppone «un mercato estremamente ricettivo e disponibile» presso il quale «la fama del Segretario fiorentino appariva ormai consolidata» e Machiavelli «era considerato a pieno titolo un membro della Repubblica delle lettere, e come tale infatti egli figura nella prima edizione veneziana del 1546 degli Elogia di Giovio»xlii. Sappiamo però che proprio in quegli anni, essendo stato eletto papa l'Inquisitore generale Carafa, si era costituita una commissione preposta alla stesura di un Indice romano (v. supra). E sempre in quegli anni nella vicenda della fortuna machiavelliana faceva il suo ingresso il letterato «Girolamo Muzio da Capodistria, [ ? il cui ? ] rapporto con il Machiavelli è infatti singolare e a tratti rasenta la schizofreniaxliii», dal momento che passò dalla delazione allo «studio et affezione». Muzio fu fra quei «secolari zelanti» che il cardinale Carafa assunse per indagare sul contrabbando di libri ereticali provenienti dall'estero. Muzio iniziò a porre davanti agli occhi della commissione l'"impietà" del Machiavelli; per il quale Muzio aveva espresso il giudizio negativo sulla lingua e sullo stile oltre all'idea che gli scritti del Segretario non contenessero «che quella 'niuna pietà, niuna humanità, niuna religione', di cui il Muzio asseriva di aver 'udito dire'», idea che aveva potuto prendere dai giudizi già citati dei cardinali Pole e Politixliv. Dalle delazioni che il Muzio fece presso il Sant'Uffizio sono testimoni le Lettere cattoliche, che il Muzio fece pubblicare nel 1571. Fra queste, il Muzio si lamenta, riprendendo i temi che già conosciamo «Che egli senza rispetto alcuno insegna a non servar fede, né charità, né religione & dice che di queste cose gli huomini se ne debbono servire per parer buoni, & per le grandezze temporali, alle quali quando non servono non se ne dee fare stima. Et non è questo peggio che heretica dottrina? Et essendo quelle cose scritte da huomo che aveva il nome di Christiano, & istampandosi, & vendendosi, & leggendosi, & vendendosi che ciò comporta, sono accettate come cose approvate dalla Santa Madre Chiesa. Et si leggono volentieri le sì fatte cose & sono abbracciate dai grandi ... & io per haverne fatto molto in alcuna mia scrittura dannandolo, ne sono stato dannato io. Ma di tal dannazione io me ne contento ?xlv All'alba del 7 settembre 1557, congruentemente, Paolo IV comandava il rogo dei libri proibiti fra i quali Machiavelli figura congiuntamente al Boccaccio e a Erasmo. Siamo ormai giunti al vertice della nostra parabola: l'Index del 1559, che come sappiamo riflette il rigore e l'indirizzo conservatore del papato Carafa. Qui nella seconda sezione e sotto la lettera N troviamo Nicolaus Machiavellus, proibito nella sua opera completa; condannato ad essere autore primae classis, cioè appunto degno di condanna totale, per tre secolixlvi. Il testo delle sue opere, essendo stato indicato nell'Indice paolino fra gli autori di prima categoria, fu discusso approfonditamente e le sue opere esaminate, alla luce di richieste come quella del duca di Urbino Guidobaldo II, che nel 1562 cercò di intercedere almeno perché Machiavelli venisse spostato dalla prima classe, in maniera da poter godere di almeno parte della sua opera; proponendo che i Discorsi e l'Ars venissero sottoposti a revisione. Come candidato per l'ufficio, il duca di Urbino presentò proprio quel Girolamo Muzio che tanto impegno aveva profuso con i suoi carteggi per la condanna dell'opera di Machiavelli. Postosi all'opera il Muzio faceva da subito intendere la difficoltà dell'opera, sebbene già nell'aprile di quell'anno fosse «però in grado di annunciare l'invio dei Discorsi "purgati così in materia della religione come della tirannia e della crudeltà".xlvii» L'opera espurgata venne presentata all'esame da parte dei censori in quello stesso 1562, quando «l'Inquisizione romana aveva appena vent'anni e la Congregazione dell'Indice non esisteva ancora»; come testimoniano i carteggi fra Muzio ed il Duca d'Urbino dove il primo raccomanda di inviare l'opera corretta a Trentoxlviii Per farlo poi stampare con l'autorità de' deputati del Concilio, e che con questo si potria aprir la strada all'emendazione di altri libri anchoraxlix e poi qualche mese dopo annuncia che ci fosse ? in quelle Congregazioni [presso Trento] particolar menzione di voler che i Discorsi si riforminol la bozza dell'opera non venne accettata, tanto che le opere machiavelliane non figurano nella lista di scritti «expurgati» dai padri conciliari, né in quella dei testi da prendere in esame, di modo che «Machiavelli resta nell'inferno»li, mentre molti degli autori che erano stati con lui condannati, come Savonarola, Boccaccio, Erasmo e Gelli, inclusi in quelle liste, trovavano ora modo di essere editi, seppur espurgatilii. Quelle liste venivano infatti passate a Roma, onde predisporre la stesura finale di quello che sarà l'Indice del '64, dove infatti Machiavelli continua ad essere fra gli autori della «prima classe», mentre autori come Gelli e Boccaccio o ne sparivano, o vi erano inclusi nella clausola donec corrigaturliii. Nello stesso periodo si davano infatti casi come quello del vescovo di Cagli, Libertano Asconi, cui «data la sua conoscenza dei metodi del sant'Uffizio, la congregazione dell'Indice dava l'autorizzazione di espurgare ogni sorta di libri emendabili fuorché Machiavelloliv» Ed ancora nel 1572 l'edizione delle opere espurgate stenta a realizzarsi dato che il vescovo di Reggio, monsignor Locatelli, che collaborava da un biennio con il maestro del Sacro Palazzo, Tommaso Manrique, al compito di «correggere libri proibiti e renderli accessibili ai lettorilv», scrive Ora si darà un'altra Rivista alle sue opere e poi si penserà a pregarne a le S. V. che le vogliano correggere nella lingua ? [come già] havevano fatto il Boccaccio, acciò il mondo abbi le fatiche di questo valent huomlvi Proprio in quell'anno, fra il 1571 e 1572, «fiutando» l'occasione resa possibile dall'edizione espurgata del Decameron, il Muzio tornava a farsi avanti nel suo Gentilhuomo, dando sì dello «storico bugiardo» al fiorentino, ma contemporaneamente riproponendo un'edizione espurgata dei Discorsi che Far si potrebbe con levar poche carte, qua e là cassandone alcune righe ? rassettandone alcune righelvii» La rinnovata proposta del Muzio non sembra scontrarsi con un muro; sono stati infatti rinvenuti due documenti che confermano l'ipotesi che neanche Roma avesse del tutto abbandonato l'idea di rieditare le opere del Segretario fiorentinolviii. Nel '73 poi i nipoti di Machiavelli, rispondendo presumibilmente alla lettera del Locatelli, non solo propugnarono la devozione del loro avo, ma portarono avanti anche la convincente argomentazione che rimandava ai svariati uffici che Clemente VII aveva proposto al Segretario, sebbene questo avesse potuto parlare con «troppa leggerezzalix». MA QUALE ERA L'OBIETTIVO DEI NIPOTI: FAR RIPUBBLICARE MACHIAVELLI? BISOGNEREBBE SPECIFICARLO Nel 1577 il Posi, segretario della Congregazione, registra non solo l'esistenza di una inedita espurgazione dei Discorsi, (cfr. infra) ma stila anche una lista di «libri spurgati, le cui censure sono giunte a noi e si conservano presso di noi [il Sant'Uffizio]» dove compaiono In Nico. Macchiavellu[m] Dell'Arte della Guerra L'historie. Sorprendentemente tralasciando, quindi, l'inclusione di opere come i Discorsi e come il Principelx. Nel 1587, quando si andavano disponendo i lavori preparatori per la stesura del nuovo Indice (il sistino), Roberto de' Roberti si accingeva a censurare i Discorsi per incarico del maestro del Sacro Palazzo, Tommaso Zobbio. Dei tredici capitoli dei Discorsi presi in considerazione da de' Roberti due, il capitolo dodicesimo del libro I (Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come la Italia per esserne mancata mediante la Chiesa romana, è rovinata) già censurato nell'edizione bladina (v. supra) ed il capitolo ventisettesimo del libro II (Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto cattivi o al tutto buoni), vennero completamente soppressi con la seguente motivazione ? per parlare del Papa, de'Cardinali e della Corte con poco rispetto e tutt'il capitolo dispensa un mal fuor di propositolxi Fra «censure parziali», invece, spicca la cassazione di quelle proposizioni che «restringa[no] il male al Cristianesimo», oppure di riferimenti biblici, a Mosè nei capitoli nono del libro I e trentesimo del libro III, o a eretici, come a Savonarola nella chiusa del capitolo undicesimo del libro I e nello stesso trentesimo del libro III. In altri casi, invece, gli interventi erano più minuziosi, come il passo del capitolo secondo del libro II dove Machiavelli deduce dalla contrapposizione fra la «magnificenza» dei sacrifici gentilizi e l'«umiltà de' nostri» la conclusione che tale maniera di vivere abbia reso «il mondo debole, e datolo in preda agli uomini scelerati»; passo che venne «accomodato ? facilmente» dal de' Roberti. Altre volte ancora, ovvero nel caso del capitolo sesto del libro III, dove Machiavelli tratta il tema delle congiure, il censore si è limitato ad invitare il lettore alla riflessionelxii. Alla fine dei pareri de Roberti termiava con un iudicium Io direi che sarebbe giusto che l'intera opera venisse condannata, perché talvolta [Machiavelli] contrasta l'autorità della Chiesa ? d'altra parte ammiro il suo stile. Egli tratta molte delle cose che sono fondamentali per il governo di uno stato, ? In conclusione questo libro potrebbe essere ripubblicato se alcune cose venissero sfrondate ? ritengo che tale operazione non comporterà alcuna difficoltà e confido che allora l'opera sarebbe istruttiva e di grande utilità. Risulta poi un progetto di censura, di cui la data non è certa, degli otto libri della Historia di Niccolò Machiavelli basata su di «uno libro in 4 stampato in Fiorenza per Bernardo Giunta l'anno 1552». Le censure, vengono evidenziate quarantatre modifiche, in questo caso si riferiscono pressoché nella loro totalità alla cassazione di passi relativi alla storia del papato e della Chiesa, con riguardo alla loro funzione politica. Vi sono anche, tuttavia, espunzioni e sostituzioni più capillari, anche di una sola parola, atte a stemperare il significato di alcuni passaggilxiii. Ancora nel 1593 il conte Aloisio Marian e Giulio Areti inviavano una petizione a Gregorio XIII perché questi permettesse loro di procedere all'espurgazione di alcune opere, ivi compresi i Discorsi e le Storielxiv. A scapito dei progetti di riformazione dei Discorsi del Muzio nel 1562 e del Roberti poi, alla data del 1597, ovvero 35 anni dopo, e sebbene non fossero mancati favori da parte di illustri personaggilxv, l'edizione espurgata del Machiavelli era rimasta nell'alveo delle mere eventualità, come si evince dalle stesse desolate memorie di Giuliano de Ricci, nipote del Machiavelli che proprio in questi anni di Cosimo I ricoprì distinti incarichi pubblici Prima da Paolo IV e poi dal Concilio di Treno li anni 1557 e 1564 furono proibite e dannate tutte le sue opere; e per chè levatone alcune poche cose, elle restano tali che si possono ammettere, fu dato cura l'anno 1579 a me Giuliano de' Ricci e a Niccolò Machiavelli mio cugino, ambedue suoi nipoti, io figliuolo de una figliuola e messer Niccolò figliuolo di un suo figliuolo, come appare da una lettera scritta alli detti dagli'illustrissimi signori Cardinali deputati sopra la rivista dell' Indice, data in Roma alli 3 di Agosto 1573, sottoscritta da frate Antonio Posi, allora segretario di detti Cardinali; e sebbene si faticò attorno alla detta revisione, e si corressero tutte, e a Roma si mandò le correzione (sic)delle Storie, sino adesso, che siamo nel 1594, non si è condotto quest' opera a fine, perché nello strignere il negozio volevano quelli Signori che si ristampa sino sotto altro nome, al che si diede passatalxvi. Con questo stralcio conclusivo riassumiamo l'episodio di Machiavelli al banco di correzione: il de' Ricci ricapitola la messa all'indice, l'idea dell'espurgazione propugnata da Girolamo Muzio che fece scomparire l'equiparazione fra tirannia e religionelxvii e cassò quelle "due parole di quella sua opinione che la religione cristiana faccia gli uomini poltroni"lxviii, il fallimento del progetto stesso; la fatica di un disegno che, poggiando su false conferme, stenta a prendere il volo. Fra le varie proposte che vennero ventilate in questo lungo arco di tempo, e che si ritrovano nelle carte del nipote del fiorentino, il quale vi si oppose, c'è quella di stampare le Storie fiorentine senza il nome del loro autore, una possibilità che abbiamo visto poter essere avanzata sulla base della regola ottava dell'Indice tridentino, regola che infatti non mancò di essere ridiscussa successivamente presso la Congregazionelxix. Deludendo ogni speranza, infatti, la condanna di Machiavelli come autore quorum libri et scripta omnia prohibentur si ripete in tutti gli Indici successivi a quello del '59, senza mitigazione alcuna della condanna. Ed è probabilmente alla stessa intransigenza della Congregazione dell'Indice che si deve il fallimento del progetto editoriale; oltre che alla nuova ondata di anti-machiavellismo apportata dalla trattatistica gesuita (v. infra)lxx. Sicuramente, «la censura, l'alternativa "liberale" alla proibizione totale, venne scartata da Gregorio XIIIlxxi». Nel 1596, poi, il cardinal bibliotecario Cesare Baronio, riuscì a vedersi approvato il suggerimento di correggere le opere di Machiavellilxxii. Sembrerebbe il segno evidente di un successo dei partitari di Machiavelli; ma il fatto che in quel periodo le licenze di lettura delle opere machiavelliane non solo non erano aumentate, ma anzi erano state negate a personaggi di alto rangolxxiii come il Barone di Fucariis, porta a supporre che se davvero si trattò di un'omissione intenzionale, non produsse i risultati attesi e non può quindi essere segnalata come una vittoria dei machiavellianilxxiv. Abbiamo già visto, inoltre che in quegli anni non si era riuscito a dar seguito alle richieste di pubblicare nuove ed espurgate edizioni dell'opera machiavelliana e che, a livello più generale, l'Indice clementino aveva visto acuirsi i contrasti fra l'Indice e il Sant'Uffizio, scontri di cui fecero le spese le opere proibitelxxv. Abbiamo detto che sin quasi dagli anni Trenta del secolo XVI si andò a creare un "secondo Machiavelli", il Machiavelli istituzione e simbolo, ovvero quello che spesso non ebbe nulla a che vedere con il Segretario morto nel 1527lxxvi. È sulla base di questo stesso assunto che possiamo riproporre l'affermazione che oramai non più quanto il Segretario aveva voluto, pensato e scritto fosse pericolo, quanto che lo fosse solo l'immagine che gli si era voluta cucire addossolxxvii. Tanto che non sembra peregrino rubare le parole del Muzio che, resosi conto che il suo progetto s'era fatto una chimera, ebbe a commentare «Machiavelo è stato non, come dicono, censurato, ma tonsurato in che lo hanno fatto rimanere toso [corsivo mio]lxxviii»; l'interveto censore, in altre parole, "levigò, amputò e battezzò" l'opera di Machiavelli, fino a farne sparire il nomelxxix. «Le opere del Machiavelli continuarono così ad essere vendute sottobancolxxx», tanto che vediamo prosperare edizioni illecite a discapito dei vani tentativi di riportare alla luce edizioni ufficiali, sia pur espurgate, del Principe, dei Discorsi e delle Storielxxxi. In definitiva, anche nel caso di Machiavelli, l'indirizzo preso da Roma finì con l'influenzare «involontariamente le politiche editoriali protestanti nella direzione di tendenze eterodosse, libertine e innovatrici»lxxxii. A riguardo, tra l' altro, bisognerà soffermarsi seppure superficialmente, sul problema della veracità delle cosiddette testinelxxxiii: Da un lato qualcuna fra le date riportate nelle edizioni potrebbe essere stata falsificata per farla apparire antecedente alla prima proibizione del 1559lxxxiv, un'analisi dei caratteri tipografici di un'edizione testina del 1550 (senza luogo di stampa) ha infatti dimostrato che in realtà l'edizione è stata realizzata dopo il 1614lxxxv. In separata sede, poi, è opportuno segnalare la problematicità del luogo di pubblicazione. Le edizioni del Principe e delle Historie del 1537 sono infatti prive di luogo di edizione. Ancora, l'edizione del 1584 è mendacemente collocata a Palermolxxxvi (in verità fu Londra a far da sfondo a suddetta pubblicazione). In questo ambito, il caso citato al primo punto, un'edizione che fu in realtà opera di uno stampatore ginevrinolxxxvii In ambo i casi citati, infine, il problema inficia la figura dell'Editore. La "casa" a volte viene meno (il caso dell'edizione del '37) altre volte invece è mentitrice - nel caso del supposto palermitano Antonello degli Antonelli dovremmo riferirci, infatti, all'inglese John Wolfe, mentre l'edizione del 1550 sarebbe in realtà di Pierre Aubertlxxxviii. Per quanto invece concerne le licenze di lettura, che abbiamo definito come "scappatoia" alle proibizioni ecclesiastiche ed indicato come una delle attività dell'Inquisizione romana, è il caso di ricordare che nel caso di Machiavelli, il Sant'Uffizio respingeva quasi sempre le domande, come nel caso in cui respinse la proposta di permettere agli studiosi la lettura delle opere di Erasmo e Machiavelli appuntolxxxix. Ciò nonostante, come è facile riscontrare dai cataloghi di biblioteche private, molti sono i casi in cui vennero rinvenute copie illecite di Machiavelli nelle biblioteche italiane del Cinquecentoxc. In definitiva, «la terra che ha dato al mondo un così celebre pensatore, cento anni dopo la sua morte gli volta le spalle e trema solo a pronunciarne il nomexci»; un atteggiamento che andrà a mutarsi sono nel corso del XVIII secolo, sebbene Machiavelli rimanga «dietro le inferriate dell'Indice» fino al XIX secoloxcii. La censura spagnola A differenza che in Italia, dove abbiamo visto che le opere del Segretario fiorentino vengono proibite sin dalla prima edizione dell'Indice romano; il Principe ed in particolar modo i Discursos godettero di una piena legittimità di circolazione fino all'ultimo quarto del XVI secolo, ciò sebbene la censura fosse all'epoca già attiva. Bisognerà domandarsi, dunque, perché la censura in questo caso arrivò a colpire con un simile ritardo, ed in seguito la ragione della proibizione del Segretario fiorentino nella penisola ibericaxciii. Come in Italia, però, almeno le prime pubblicazioni spagnole godettero del favore della monarchiaxciv. L'imperatore Carlo Vxcv (Carlo I di Spagna) plaudette alle dissertazioni dell'italiano e non esitò a patrocinarne la pubblicazione nella penisola iberica, concedendo non solo un privilegio decennale allo stampatore ma anche che l'edizione castigliana del Principe venisse dedicata al suo principe erede, il "Serenísimo Príncipe don Philipe, nuestro muy caro y muy amado hijo" e così asserendo Nos para nuestra recreacion leemos algunas vezes en un libro intitulado los discursos de Nicolao Machiaveli ? por ser muy util y provechoso para cualquier príncipexcvi Favore che ritroviamo anche nelle parole della dedica del traduttore, Juan Lorenzo Ottevantixcvii che, figuranti nella prima edizione del 1552 e nella successiva, datata 1555xcviii, auguravano che il lavoro potesse Abrir el camino a su [il Principe Filippo] alta y muy excelente intelligencia, para que pueda en breve tiempo venir en conocimiento delo que es necesario para añadir a su Imperio lo que pueda? Vuestra Alteza conoscerà el gran desseo que en ello ay que Vuestra Alteza suba en aquella grandeza que la fortuna y sus perfectas calidades le tienen protimedo (sic)xcix È in tutta legalità, dunque, che l'anno successivo si pubblicò a Medina del Campo la prima traduzione al castigliano dei Discorsi, presso lo stampatore De Millis e con dedica al principe Filippoc. Quando il Principe Filippo ricevette il testimone dal padre quella dedica era una base in grado di sedimentare una fortuna "nera", come di fatto avvenne, rendendo l'immagine di un Filippo II tirannico fino quasi ai giorni nostrici. Sotto il suo regno, arrivò un primo latente divieto alla circolazione delle opere di Machiavelli. Come sappiamo infatti, nel 1558 il re Filippo si preoccupò del problema della circolazione di libri proibiti nei suoi regni, impedendo fra le altre cose l'ingresso di opere straniere stampate fuori da quelli. Dalla presenza di un'edizione dei Discorsi in «bulgare castellana» si comprende come il divieto si limitasse ad una sola parte della produzione machiavellianacii. I Discursos poterono dunque continuare a circolare senza ostacoli in Castiglia. È necessario rilevare, tuttavia, che la circolazione delle opere edite in lingua originale, che si ritiene essere diffusissima vista la dimestichezza del popolo iberico con il volgare italianociii, venne profondamente colpita da queste disposizioniciv. Tuttavia, malgrado il dibattito già acceso in Italia circa la minaccia fiorentina, non ci sono riferimenti alle opere del Segretario nel primo Indice spagnolo. Questo primo Indice era infatti a fortissima connotazione ecclesiologica, con poche incursioni nell'ambito della letteratura mondana, tanto che «su sumpremacía en todas las cuestiones de fe y disciplina aparecía tan inmutablemente establecida que miraba con benevola indiferencia abstractas especulaciones como las de Marsiglio Ficino, Pomponazzi y Augustino Nifo?cv». Agostino Nifo fu il gran plagiatore di Machiavellicvi, colui che si preoccupò di «corregere lo scritto alla maniera degli scolastici» onde poi dedicare l'"operetta" a Carlo V stravolta nel suo significatocvii. Mentre la mancata inclusione delle opere di Machiavelli nell'Indice del '51 può essere giustificata dal fatto che la traduzione dell'Ottevanti cominciò a circolare in Spagna solo dall'anno successivo (vedi supra), più problematica è l'assenza del fiorentino dall'Indice del '59cviii. In questo catalogo spicca, infatti, l'inclusione di un altro fiorentino, Giovan Battista Gelli, che fu manifesto ammiratore del Machiavelli, e la cui opera, Circe, tradotta in castigliano proprio da Lorenzo Ottevanticix; un'opera che era già stata inclusa nella terza parte dell'Indice paolino, icasticamente citata sia sotto la lettera C di Capricci (titolo dell'opera maggiore) che sotto la J di Joannis Baptistae Gelli liber inscriptus Capricci del Bottajo. La ragione di questa scelta può essere semplicemente il favore di cui godeva l'opera del fiorentino presso i monarchi spagnolicx. Nel redigere l'Indice di Valdés, inoltre, non si tenne particolarmente in conto quanto proibito nell'Indice di Paolo IV, ragion per cui non sorprende questa soluzione di continuità fra le opere dell'Indice romano e quelle dello spagnolo che era, in fondo, più preoccupato per i pericoli ereticali che per la letteratura laica (v. supra)cxi. Né, peraltro, erano mancate le denunce all'opera machiavelliana, prima fra tutte quella di Juan Ginés de Sepulveda che in un suo scritto, auspicando l'armonia fra la disciplina militare e la religione cristiana, polemizzava con «qui religionem christianam in eo sustinent vanissime damnare, quod nomine reddat ignavos ed ad imperandum ineptoscxii» Tra il 1559, l'anno della pubblicazione dell'Indice romano, ed 1584, anno in cui sappiamo di trovare la definitiva condanna iberica del Machiavelli con l'Indice di Quirogacxiii, il caso delle opere del fiorentino non passò del tutto inosservato in Spagna, e scopriamo che il Principe, opera italiana scritta in lingua toscana, è fra le cinquantaquattro opere che il dottor Heredia considerava, consigliando al consiglio reale, valevoli di censuracxiv. Sin dal 1572, infatti, presso il Tribunale dell'Inquisizione di Toledo presta servizio un noto qualificatore, nonché uno fra i più acerrimi nemici di Machiavelli, il gesuita Juan de Mariana, alla cui partecipazione alla stesura dell'Indice non c'è dubbio che bisogni attribuire l'inclusione del segretario nel catalogocxv. Con gli anni '80 del XVI secolo, come abbiamo visto in precedenza, l'attività censoria dell'Inquisizione castigliana sembrò concentrare gran parte delle sue energie nell'espurgazione che diventerà il principale termine di differenziazione fra le esperienze censorie italiana e spagnolacxvi. Malgrado ciò, e a scapito della quattordicesima regola dell'Indice (v. supra), nel 1584 Machiavelli non solo fece il suo ingresso negli Indici castigliani come opera interamente proibita (e non espurgabile quindi), ma addirittura venne pleonasticamente citato tra i Libros que se prohiben en latin sotto la lettera N di Niccolai Macchiavelli, o.o. per la quale cadevano in proscrizione le opere che, sebbene in volgare, portavano titolo latino Libros que se prohiben en Romance, alla lettera D dei Discursos de Machiavelo, ovvero quella che sappiamo essere alla data l'unica opera circolante in lingua castigliana Libros que se prohiben en Italiano, alle M e financo N, ovvero in quanto Machiavello, todas sus obras e Nicolao Machiavello Fiorentino, todas sus obrascxvii La censura delle opere di Machiavelli in Spagna era diventata ormai incontrovertibile. Lo dimostra il fallimento dei tentativi di don Antonio Folch de Cardona, duca di Sessa, di intercedere per quelle direttamente presso il Consiglio dell'Inquisizione Ill.mo R.mo, Muchos hombres principales y del qualidad sienten la falta de las obras de Nicholao Machiabello ? y aunque en ellas ay algunos herrores i cosas impías i malsonantes ay obras de mucha curiosidad y aprovechamiento i las que no son tales se pueden fácilmente expurgar enmendar y corregir y aun traducirse los dichos libros de lengua italiana en vulgar castellana y imprimirse con nombre de otro autor no conviniendo que anden en el dicho nicholao autor. Todo lo que se ofreçe hará a su costa el duque de sesa y soma ? y corregidos ? los [i libri] remitirá a Va. S. Rma. Y al supremo consejo de la Sa.i gnl. Inquisición para que vistos en el i que no tienen en que se aya de reparar se pueda mandar traducir y limpiar y para la versión de la legua italiana en bulgar castellana y para que en su nombre se imprima y publique le parece sera muy a propósito don Marco Antonio de Aldana hijo del coronel Aldana por ? saber también muchas cosas de las que trata dicho machiabello y tener practica y noticia della u otro que a V.da. mejor pareciere a V.S. R.ma suplica el duque que mande questo se provea t haga asi que serán de mucha utilidad y provecho las dichas obras para personas de qualidad y curiosas de saber semejantes materiascxviii. Sebbene l'intercessione provenisse da una figura di grande prestigio - il che faceva del progetto una possibilità più che plausibile agli occhi del duca - l'Inquisizione non diede mai seguito alle richieste del de Sessacxix. Evidentemente, il proposito di editare e pubblicare (non si esclude, infatti, che una bozza del lavoro proposto dal duca de Sessa sia una delle traduzioni manoscritte conservate attualmente nella Biblioteca nazionale spagnola, al riguardo vd. Infra e note) le opere machiavelliane in Spagna, così come quello di Muzio ed i nipoti del Machiavelli in Italia, dovette finire in un buco nell'acquacxx. Le traduzioni al castigliano di Machiavelli, almeno fino al XIX secolo (cfr. infra) rimarranno infatti esigue: se si eccettua la traduzione dell'Arte della guerracxxi e le due edizioni del '52 e del '55 dei Discursos che già conosciamocxxii, per tre secoli circolarono solo traduzioni manoscrittecxxiii. Di una terza fantomatica traduzione ad opera di Dionisio Casio Uticensis non si hanno infatti riscontricxxiv. Sarebbe sbagliato, però, supporre che la penuria di traduzioni al castigliano delle opere machiavelliane significhi una mancanza di interesse da parte degli spagnoli verso il fiorentino; diversamente infatti un cospicuo gruppo di studiosi attribuisce la scarsità di traduzioni al fatto che l'italiano fosse, in fin dei conti, una delle lingue dell'impero spagnolo, per tanto padroneggiata dai suoi sudditi. Machiavelli, poi, risultava una lettura "obbligata" per quanti avessero intrapreso carriere militari o nell'amministrazionecxxv. Il che, tuttavia, contrasta in parte con la valutazione di Procacci, secondo il quale «l'indicatore più attendibile della fortuna internazionale di un autore è ovviamente dato dalle sue traduzionicxxvi». Falliti i tentativi di espurgazione e ri-edizione - anche sotto mentite spoglie come aveva avuto maniera di suggerire il duca di Sessa - l'opera di Machiavelli, in ogni sua versionecxxvii, venne puntualmente proibita anche negli Indici del 1612 e del 1632, rispettivamente degli Inquisitori generali Sandoval y Rojas e Zapata ed in quelli a questi successivicxxviii. La presenza delle opere di Machiavelli in molte biblioteche spagnole del XVI e XVII secolocxxix dovrà quindi imputarsi alla politica permissiva dell'Inquisizione che dovette concedere molte licenze di letturacxxx. Non mancano fonti però che testimoniano, esattamente come in Italia, la concessione di licenze ed espurgazioni a taluni personaggi di alto rango per la quasi totalità delle opere messe ad Indice tranne proprio i libri di Machiavellicxxxi. D'altra parte, abbiamo già accennato al ruolo dei mercanti di libri per la diffusione dei libri proibiticxxxii, un gruppo che ebbe un ruolo di primaria importanza per la circolazione delle opere di Machiavelli in Spagna. Aggiungendo qualcosa a quanto si accennava poco fa, il fatto che il viaje a Italia fosse un costume fra gli spagnoli, ragione per la quale la lingua italiana era largamente diffusa in Spagna, significò per esempio che le opere di Machiavelli venissero direttamente importate dall'Italia, ragione per la quale constano non solo poche edizioni castigliane, sia in volgare spagnolo che in italianocxxxiii. L'abbondanza di copie italiane rinvenute nelle biblioteche delle elites spagnole dell'epoca, suggerisce infatti una buona dimestichezza di quest'ultime con il volgare della vicina penisolacxxxiv. Fra gli esemplari rinvenuti, è interessante prestare attenzione alla biblioteca del Monastero di San Lorenzo al Escorial, che già dalla seconda metà del XVI secolo venne utilizzata dall'Inquisizione per immagazzinare molte delle opere proibitecxxxv e dove già nel 1585 erano conservate fra i libri proibiti in italiano. Ciò constatando, le opere di Machiavelli resistettero alla condanna, ed esemplari di questi sono pervenuti in molte biblioteche private della penisola spagnola. 1.Memoria de los libros y papeles requisados por la Inquisiciòn de Zaragoza, 4 de Octubre 1634 2 Discursos de Nicolao Machiavelo, dos tomos; 1 Machiavelo dicursos; 1 el mismo sobre la primera década de Tito Livio; 1 el mismo Historia de Florencia manuscrita 2ª parte; Machiavelo Del Príncipe en italiano 2.Inventario de los libros recogidos en la Inquisición de Murcia los cuerpos que ay en cada uno. Para el Sr. Don Pedro Pacheco (l'attuale Inquisitore generale) 1 Discursos de Nicolao Machavelo, en Medina del Campo, por Guilielmo de Milis, 1555 1 Discursos de Nicolau, Macaveli, 1552 2 (inquadernazioni) Consilio y consiliare del Principe en italiano por Alfonso de Ulloa, Venecia, por Francisco Bindonio, 1560cxxxvi 3.Indice de los libros que se an hallado recogidos en la Inquisición de Cataluña, 1634, dove sorprendentemente sotto la lettera H si trova una Historia de Nicolo Machiaveli, en italiano sin autorcxxxvii La letteratura (anti) machiavellica in Italia e in Spagna Abbiamo l'irrevocabile condanna di Machiavelli ed il tentativo delle inquisizione spagnola e italiana di eliminarne totalmente la circolazione illecita. Bisogna presumere che anche se la proibizione papale da una parte e dell'Inquisizione spagnola dall'altra fossero state effettive (che tutte le opere di Machiavelli fossero scomparse) il pensiero machiavelliano, o machiavellico, avrebbe continuato a circolare in Italia ed altrovecxxxviii attraverso l'opera dei plagiatori e di quelli che più o meno direttamente vi si ispirano e lo citaronocxxxix. Sembra, quindi, che Más que la obra lo que se prohibió fue el nombre de Maquiavelocxl, ovvero il pensiero politico compendiato dai suoi detrattori nella fortunata espressione «il fine giustifica i mezzi», semplificazione creata dagli stessi detrattori di Machiavelli e destinata a fargli da motto per secolicxli; o viceversa di chi ricorreva a «qualche espediente» pur di poterlo citare, «sviluppando una vera e propria tecnica della citazione coperta o mascheratacxlii». Si è già avuta maniera di accennare all'opera di epigoni e supposti plagiatori del segretario fiorentino. Fra questi per l'Italia è palese il caso di Agostino Nifo, che parafrasò il Principe per poi dedicarlo a Carlo V (cfr. supra), e che spesso figurava insieme allo stesso Machiavelli nelle biblioteche spagnolecxliii; sin dal 1524, il De regnandi peritia di Agostino Nifo fu un'opera che Se da un lato ? snaturava il pensiero del Machiavelli, dall'altra essa lo metteva al riparo da critiche più radicali e lo preservava aprendo la via a una serie di interpretazioni che, ? , avranno vita lungacxliv. Francesco Sansovino, sotto la pressione dell'Inquisizione, aveva esercitato una seria autocensura cancellando dalla sua riedizione dei Discorsi tutto quanto fosse anche solo velatamente anticattolicocxlv. Ancora nel XVII secolo, «come in Sansovino, appunto, si tralasciano parti di capitoli e si omettono perfino i titoli laddove possono essere considerati provocatoricxlvi» Già dagli inizi del '61, poi, il domenicano Nannini, Remigio fiorentino, che aveva già avuto modo di pubblicare quattro anni prima una raccolta di «orationi militari» in cui faceva espressa menzione del Segretario, pubblica una seconda raccolta di orazioni nella quale riproponeva lunghi passaggi delle Storie, citando la provenienza dalle Historie fiorentine senza tuttavia nominarne l'autore, mentre nelle Considerazioni del 1572 non cita nemmeno l'opera (sempre le Historie) dalla quale trae le citazionicxlvii. Per quanto riguarda la Spagna, invece, come si è visto in precedenza, almeno fino all'edizione dell'Indice di Quiroga, non sussistono accuse formali al segretario fiorentino; ma dal 1583 «anche in Spagna i più accesi alfieri del fanatismo cattolico sviluppano l'antimachiavellismo come medicina contro il veleno dello scetticismo e della miscredenza ? un antimachiavellismo sfrenato è la manifestazione caratteristica?cxlviii» degli sviluppi secenteschi della filosofia politica spagnola, soprattutto quella frutto di autori gesuiti. Non è possibile pensare, quindi, che la Spagna dell'Età Moderna sia stata tout court antimachiavellica: nel XVII secolo si distinsero tre posizioni rispetto al fenomeno del machiavellismo, la negazione sulla base di posizioni tradizionali, l'accettazione anche se dissimulata, ed il tentativo di conciliazione con la dottrina cristiana; nell'età moderna si forgiò, infatti, un ritratto di Machiavelli come precettore dei «maquidiablos», la cui filosofia politica era a volte assimilata a quella degli arbitristascxlix, altre volte veniva così burlata «Una señora que, a mi parecer, llaman por ahí razón de estado: que, cuando con ella se cumple, se ha de descumplir con otras razones muchascl» Altre volte ancora, la ragion di Stato veniva svincolata dalla sua filiazione con Machiavelli, dal momento che il concetto definiva le relazioni fra "politica, morale e religione"cli. Abbiamo accennato alla traduzione "mascherata" di Diego de Salazar che, conoscendo l'opera del toscano dai suoi viaggi in Italia, si cimentò nel produrre un trattato De re militari che, edito ad Alcalà nel 1536clii, era in realtà una parafrasi dell'Arte della guerra fatto a manera de dialogo que passo entre los illustrissimos señores Don Gonçalo Fernández de Cordova llamado Gran Capitan Duque de Sessa y Don Pedro Manrique de Lara, Duque de Najera: en el cual se contienen muchos exemplos de grandes príncipes ? muy provechoso para caballeros capitanes y soldados ?cliii Il trattato di Salazar fu un libro molto popolare, sebbene non si sappia se il suo pubblico fosse a conoscenza della sua vera identità, come nemmeno se lo fosse l'Inquisizione che, comunque, non arrivò mai a proibirlocliv. Si è anche visto che è stato rinvenuto nella Biblioteca di San Lorenzo al Escorial un esemplare de El Concejo y Consejeros del Príncipe di Furiò Ceriol che, influenzato da Machiavelli, definisce il principe come un professionista della politica, emancipandolo dalla morale, in maniera da arrivare a definire virtud politica quella del principe que sepa i pueda con su prudente industria conservarse sus vassallos de tal modo que no sólo se mantenga honradamente en su Estado y lo establezca para los suios, sino que siendo menester lo amplifique, i gane victoria de sus enemigos cada i quando que quisiere, o el tiempo pidiereclv. Al contrario, fra quelli che vollero propugnare lo stretto legame fra la morale religiosa e l'agire politico, Juan de Mariana è particolarmente interessante. Padre Mariana fu, inoltre, il primo fra gli scrittori politici spagnoli ad opporsi con forza all'opera del Segretario (v. supra). Sia Niccolò Machiavelli che Juan de Mariana, curiosamente, vennero stigmatizzati come istigatori di terribili eventi politici: i precetti del Principe furono tesaurizzati come incoraggiamenti alle maggiori scelleratezze, mentre il De rege et regis institutione del padre Mariana, fu bollato come catechismo di quei monarcomachi che si erano resi protagonisti dell'assassinio di Enrico IV in Franciaclvi. ll pensiero di padre Mariana si inserisce, idealmente, in quel filone di autori tanto criticati dal nostro, ovvero fra chi pretendeva l'immanenza di un ordo ordinans divino e predicava l'osservanza delle regole della morale e dei principi cristiani per il buon governatoreclvii. Improntato a questa filosofia, nel 1604 esce a Colonia il trattato Princeps christianus adversus Nicholaus Machiavelum già edito nel 1595 in volgare con il titolo Tratado de la religión y virtudes que debe tener el príncipe cristiano para gobernar y conservar sus estados. Contra lo que Nicolas Maquiavelo y los políticos de estos tiempos enseñan. Tuttavia, «la fama maggiore [fra le opere anti-machiavelliche spagnole] spetta agli scritti del gesuita Pedro de Ribadeneyra, autore sul finire del Cinquecento di un Il Trattato della religione e virtù che deve avere il principe cristiano, nel quale attacca il segretario fiorentino ? [che] diventa un classico della ribellistica gesuitica.clviii» Un trattato che il gesuita Rivadaneyra scrive con l'idea di controbattere La ansia con que algunos hombres de estado las dessean saber, la atenciòn con que los leen, y la estima que hazen dellos como si fuesen venidos del cieloclix confutando le tesi politiche di Machiavelli e dei machiavellisti non solo con le armi della fede e della teología, ma soprattutto opponendovi le regole della prudenza e della vera ragion (di Stato), dal momento che a dover essere tenuta da conto non è l'opinione del pubblico (i popoli) ma solo quella finale ed irrevocabile di Dioclx. Alla stessa maniera Quevedo vedeva nei seguaci di Tacito e poi nel «impio moderno» i fautori di una «sinrazón de Estado»clxi. Ciononostante, Quevedo non fa che «tirare il sasso e nascondere la mano», dal momento che in altri passi delle sue opere, al contrario, sembra offrire dei consigli al sapor di machiavellismoclxii. Nell'opera di Quevedo, infatti, sembra riassumersi l'atteggiamento della filosofia politica spagnola nei confronti del Segretario italiano. Così come abbiamo visto l'atteggiamento "schizofrenico" di Girolamo Muzio nei confronti di Machiavelli, così Quevedo gli dimostra prima esecrazione, confutando le tesi machiavelliane e/o machiavelliste, oppure le indica anonimamente per compararle alle sue, poi in maniera latente evita di contraddirle, corroborandole silenziosamente, fino a utilizzarle anonime «Lágrimas contrahechas se derrama por padres, hijos y mujeres perdidos, y solamente alcanza lágrimas verdaderas la pérdida de la hacienda» Apodittica che non sembra troppo distante dai consigli del Principeclxiii ? gli uomini dimenticano più presto la morte del padre, che quella del patrimonioclxiv. Anche Sepulveda, il cui Democrates primero abbiamo già avuto maniera di citare, che in Spagna fu uno dei primi a denunciare la perniciosità dell'opera del Segretario fiorentino, il cui pensiero aveva conosciuto in Italia, non manca, tuttavia, di presentare molti elementi machiavellici e machiavelliani nella propria filosofia politica. Primo aspetto comune fra i due autori è l'essere stati entrambi legati professionalmente ad autorità politiche e religiose - i Medici a Firenze e a Roma per Machiavelli e le corti pontificia e imperiale per Sepulveda - e le influenze che tali rapporti hanno avuto sul pensiero politico degli autori: un umanismo civico farcito di aristotelismo e classicismoclxv. La maggiore ricchezza dell'antimachiavellismo spagnolo sta proprio nel suo essere paradossale: per la maggior parte dei casi, questa reazione iberica non conobbe realmente l'opera dell'autore Machiavelli, ma solo la fama del suo mito. Quello spagnolo fu quindi un "antimachiavellismo mascherato", negazione di un mito e non di un pensiero politicoclxvi. Con il passare del tempo, e frutto in particolar modo della migliore conoscenza dei testi di Machiavelli, si cercò di differenziare, in Europa e in Spagna, ciò che era «machiavellico» da ciò che era «machiavelliano», il primo un concetto che si riferisce all'ambito della pratica politica e che è indipendente dall'opera di Machiavelli, ciò cui si riferisce il secondo termineclxvii.