ANDARE A LUCCIOLE

La nebbia lo avvolgeva affettuosa, mentre attendeva: il primo mercoledì del mese di novembre si era sempre dimostrato il miglior complice in quegli otto anni.
Maledetta pianura che ti entrava fin nelle ossa: sospirò profondamente e si trovò davanti la condensa delle sue preoccupazioni. Freddo di giornate sempre più brevi e notti sempre più ingorde: le sette e cinquantaquattro, sei minuti al suo arrivo.
Lo vide arrivare, avvolto in una mantella come non se ne vedevano più da tempo, entrambe le mani occupate a reggere due teli bluastri che parevan nascondere qualcosa di pesante. Una volta vicino l’uomo con la mantella abbassò lo sguardo e con quello anche i due carichi, a terra, con delicatezza. “Perché due?” “Il prossimo mese non potrò esserci, ma queste ti basteranno, non preoccuparti”. Al timore di rimanere senza, letto nei suoi occhi, aggiunse: “Conservi ancora il foglio dove abbiamo trascritto l’accordo?” “Certamente”. “Sul retro c’è un indirizzo, lì troverai chi potrà fornirtene nell’immediato”.
Si sentiva indifeso in quella dipendenza da cui però non sapeva evadere.
I teli blu nascondevano le due gabbie con la sua dose, doppia. Non controllò: si fidava di lui, perché lo sapeva affetto dalla stessa necessità paralizzante.
Rientrando a casa andò spedito in cantina; alzò uno dei due teli, quel tanto per riuscire ad aprire lo sportello e ad avvolgere in un vecchio straccio una delle lucciole.
La custodì con delicatezza, portandola con sé gradino per gradino, oltre la soglia, fino in camera da letto. La lasciò andare nella penombra dell’appartamento e la guardò danzare, per lui, non più solo. Per altri due mesi sarebbe sopravvissuto: era felice in quell’estasi luminosa.
Quando si ritrovarono osò domandare: “Perché hai cominciato?”
L’altro si ritrasse, distolse lo sguardo verso l’orizzonte per un attimo, poi si chinò, alzò il telo, aprì la gabbia e lasciò le lucciole libere tra loro: “Per non avere paura del buio”.