La pattuglia
racconto di Alberto Caprara

“È finita l’acqua…”

Dopo che ha detto così la faccia di zio Sebastiano ha cambiato colore. Sembrava uno che sta male.

“Come ‘è finita’ ?” ha detto la zia Ivana. “Se l’avevamo comprata l’altroieri.”

“Due bottiglie avevamo preso. Non un pacco intero. È finita.”

Ho guardato lo zio. Era bianco e le rughette tra gli occhi si erano approfondite.
Quasi come quella volta. Quando mi aveva detto di papà.

“Vai dalla sciura Silvia, qua sotto.” ha detto la zia che si asciugava le mani dopo aver lavato i piatti. La zia Ivana aveva sempre una risposta per ogni problema.

“Ma come. Non ti ricordi? Le hanno bruciato il negozio la settimana scorsa.”

“E allora vai dalla Giusy.”

“Ha chiuso un mese fa. È tornata in Calabria. Non ce la faceva più.”

La zia si è tolta il grembiule e ha guardato lo zio con le mani sui fianchi.

“E allora vorrà dire che beviamo quella del rubinetto…”

“Ma sei matta?! Il dottore te l’ha detto: quell’acqua lì fa male. Sopratutto a te. Vuoi aspettare di nuovo quattr’ore in pronto soccorso prima di trovare un medico?”

Io, che stavo zitto ad ascoltarli, a questo punto sono uscito fuori dicendo: “Ma perché non andiamo a fare la spesa da GranDis?”

“No!” ha detto lo zio Sebastiano “Lì no. È pericoloso.”

“Che è successo ancora?” la zia Ivana ha alzato gli occhi e allargato le braccia, come quando lo zio rimproverava papà.

“È su Internet. Stanotte hanno bruciato una sede delle ronde a due isolati da qui. E da stamattina quelli là sono in giro per la rappresaglia.”

Siamo rimasti tutti e tre in piedi senza dire niente. Ma io erano giorni che stavo chiuso a casa. E da GranDis c’erano tutti quegli scaffali pieni di Mostri Sganzi di ogni tipo, compresa la Cavalletta Mozza-Testa. La mia preferita. Mi bastava andare lì a guardarli.

“Zio, andiamo da GranDiis…” ho cominciato a piagnucolare.

“Dai Seba. Se ti porti lui, chi vuoi che ti dia fastidio…”

“Tu dovresti saperlo bene di che pasta sono fatti quelli.” ha detto piano lo zio, per non farmi sentire. Ma io sentivo lo stesso.

“È stato un incidente!” ha risposto la zia, arrabbiata.

Litigavano sempre sottovoce. Io però avevo capito che parlavano di papà.
Lo zio mi ha guardato. La sua faccia sembrava quella della Luna. Gialla e rugosa.

“…e daai, zio…”

“Va bene. Ma se ci sono storie strane in giro, si rientra subito. Intesi?”

“Evviva!” ho iniziato a saltare per tutta casa, proprio come fa la Cavalletta Mozza-Testa alla TV.

Siamo usciti dal portone di casa. Non c’era nessuno per strada. Lo zio ha guardato in giro per un po’ tenendomi per mano. Poi abbiamo cominciato a camminare sul marciapiede, io mi divertivo a saltare i sacchetti della spazzatura.
È passata una macchina che correva forte. Lo zio Seba ha detto qualcosa che non sono riuscito a capire.
Poi abbiamo sentito un rumore. Mi è sembrato uno sparo, anche perché lo zio si è bloccato stringendomi forte la mano.
Appena girato l’angolo abbiamo visto tre uomini davanti a noi. Erano vestiti di verde scuro e avevano dei fucili, per questo li ho riconosciuti.

“Guarda zio! Una ronda!”

“Sssshhh!” ha fatto lo zio.

Loro hanno smesso di parlare e ci sono venuti tutti e tre incontro.

“Allora, che ci fai qua?” ha detto uno. Aveva gli occhi rossi e le braccia muscolose con dei tatuaggi strani. E due cinturoni incrociati sul petto.

“Sono… sto andando al supermercato. Con mio nipote.”

“Dì un po’, sei stato tu a sparare? Ragazzi, questo qui ha la faccia del terrorista, nê.”

“No. Per carità. Non sono armato…” ha detto lo zio diventando piccolo, piccolo.

Si è avvicinato un altro. Questo aveva la pelle nera, nera.

“Come ti chiami?”

“Seba…. Sebastiano…”

Quello si è messo a ridere e ha detto agli altri: “Che nome da zingaro! Dev’essere parente di quelli che abbiamo pestato ieri!”

“No! Io abito qua vicino. Guardate.” lo zio ha tirato fuori il portafogli cercando qualcosa dentro. Le mani gli tremavano.

“Lascia stare i documenti. Tanto lo sappiamo che girate con quelli falsi…”

“Dammi un po’ qua.” ha detto il terzo. Era uno magro, con una cicatrice sulla fronte. Ha puntato il fucile verso lo zio e lui gli ha dato il portafogli.

“Il portafogli è mio. E pure i documenti…”

“Ma va’. È un borseggiatore ‘sto qui. L’ha ciulato di sicuro a qualcuno. Intanto lo sequestro io.” e se l’è infilato subito in una delle tasche del giubbotto verde.

“No. Vi prego, no. I soldi…” ha detto lo zio.

“Che succede qua?” ha detto una voce dietro di noi.

Ci siamo girati. C’era un tizio grosso con la divisa verde pure lui. Aveva un cappello viola e lo portava messo per storto sulla testa pelata.

“Abbiamo beccato un ladro.”

“Fammi il piacere. È un terrorista del cazzo!”

“È uno zingaro!”

“Silenzio!” ha detto il pancione.

“Per carità, lasciatami andare. Sono con mio nipote…”

Il tizio si è piegato lentamente verso di me. Ha fatto un sorriso con tutti i denti. Aveva le labbra grosse e umide e gli occhi a palla, come Palla Blob, il Mostro Sganzi più brutto che c’è!

Mi ha preso una guancia con due dita e mi ha detto: “Ciao campione. Come ti chiami?”

Io ho avuto paura e mi sono nascosto dietro lo zio Seba.
Lui si è alzato. Ha indicato lo zio e ha detto agli altri: “Portatelo via. Questo qui è un pedofilo.”