“Amica mia”

Quando – dopo un’altra lunga giornata inutile – ho aperta la porta di casa mia, con la coda dell’occhio ti ho vista, e sei entrata insieme a me.
Mi hai seguito in cucina, mi hai sfiorato in bagno.
Eri seduta accanto a me, nella mia casa solitaria, mentre mangiavo una pizza Margherita riscaldata con il forno a microonde.
Non ti vedevo, ma ti sentivo. Vicina, impalpabile, eppure presente come una polvere stanca che si posa adagio ovunque e fa tacere lentamente ogni pensiero.
Ma ero abbastanza tranquillo. Sì, okay, sapevo che c’eri, ma ci facevo poco caso a te.
In fondo, a pensarci bene, tu ormai ci sei quasi sempre.
Mentre ero seduto a guardare la mia razione serale di TV, all’improvviso ti ho vista balenare sullo schermo: brillante, seducente, oscura, tremante, delicata, sottile, possente, scendevi nello sbrodolare convulso della luce del televisore e venivi a sederti accanto a me e mi abbracciavi sempre più dolce, sempre più forte.
Quando sono andato a dormire, ti ho portata con me a letto.
Sapevo già come sarebbe andata a finire.
Non si può dormire insieme a te e, se ci si addormenta, il sonno brucia di incubi senza fine.
Ho fatto l’amore con te stanotte e tu mi hai amato come sai fare solo tu.
Sono stato tuo, sempre e soltanto tuo.

Quando finalmente mi sono alzato dal letto, non riuscivo quasi più a respirare.
E quando mi sono guardato allo specchio, ti ho vista nel fondo allucinato dei miei occhi grandi.
Sì, proprio tu, amica mia.
Tu, la mia paura.