Recensione – Qualcuno volò sul nido del cuculo (titolo originale: One Flew Over the Cuckoo’s Nest), 1975, regia di Miloš Forman.

Un film che indaga nella sua complessità la follia autoritaria figlia dell’uomo. Non è infatti un sistema burocratico-parastatale a produrre un’umanità perversa ma tale apparato è solo funzionale a un disegno umano più profondo, che si autoproduce e si autoalimenta di repressione e intolleranza. Il male non si annida nel manicomio ma nell’uomo, cinico costruttore di muri e distruttore di ponti. Allo stesso modo l’istituzione non viene celata dietro scartoffie di cellulosa ma possiede uno, cento, mille volti (Mildred Ratched, le guardie, il Direttore, l’intera umanità).
L’autorità impone regole, somministra lezioni, controlla il tempo nell’autodichiarata infallibilità delle sue leggi morali. In questo film si ribadisce con forza la necessità di anteporre la vita a qualsiasi suprema legge scagliata dall’alto. Il buon Socrate, a cui Platone diede voce, ci scuserà, ma quella cicuta ingurgitata, in nome della legge contro la vita, poteva ben risparmiarsela. Randle Patrick McMurphy, pazzo tra i pazzi, non avrebbe mai e poi mai accettato quel calice, chinandosi all’autorità in nome della morte. Ma erano altri tempi e la perdoniamo la coppia ellenica più in voga dei ginnasi, ma non il sempiterno Eco nell’anno del Signore 2011.
E di Signori, altri mondi, e resurrezioni non troverete nulla in questo film, la follia infatti non valica i confini dell’umano ma resta ben ancorata alla terra ferma, in un ritratto che si avvicina più allo scrutatore di Calvino che al delirante capitano Achab di Melville. Nulla di extraumano regna nell’opera di Miloš Forman, tutto è reso tangibile e familiare. Nei volti di quei pazzi reclusi sedati a suon di “medicina” ed elettricità ritroviamo gli occhi incazzati dei maghrebini dei CIE sedati a “medicina” e manganellate, quelli ribelli degli uomini e le donne nordafricani bombardati da rais indigeni e stranieri, e quelli lucidi dei valsusini gassati e cementificati. Tutti, costretti con le spalle al muro al silenzio e all’obbedienza. Tutti, nella loro peculiare maniera, urlanti libertà e diritto alla vita e all’autodeterminazione.
Autorità, oppressione e rivolta sono parole chiave del film. Ed è soprattutto la ribellione in nome della dignità umana ad essere legittimata come sacro strumento di lotta ed emancipazione. Se volete conoscere la trama leggete un qualsiasi libro di storia o romanzo che accenni ad un conflitto sociale e li, troverete i protagonisti di questo film, figli rigettati e ingabbiati dai loro stessi progenitori, mamma-storia e papà-tempo. Secoli e secoli nel tentativo di sbrogliare la matassa e portare alla luce i fili più sottili, non sono bastati, e non ne basteranno altrettanti, la fine del conflitto è lontana e la trama non conosce conclusione o sconfitta, l’uomo si.