Come prima parte metto gli scopi dell’articolo e quindi dico di che cosa parlo, così sono più chiaro. Metto tipo, in questa sezione si tratterà di un caso specifico del gruppo, quello dolciario, ripercorrendo le vicende che vedono protagoniste due storici marchi italiani: Motta e Alemagna che può anche andare bene così di suo.

Mettere un accenno alla storia dei due gruppi riferendosi a quello che ho già messo nella prima parte, cioè quando la sme compra Motta e Alemagna. Dopo aver detto che Alemagna venne comprata solo perchè così volevano i dirigenti della Motta, per non avere più un concorrente, parlo della crisi degli anni settanta mettendo la citazione di Sicca nel suo libro con Adele Perenze (Crisi e ritstrutturazioni d’impresa)

Gli investimenti per i nuovi impianti […] si presentavano altamente deficitari principalmente a causa del fatto che l’avvio delle produzioni era coinciso con una fase recessiva della domanda.
Che è alle pag. 22-23. Sempre in queste pagine metto sta parte però in nota
“I fattori che, invece, avevano riguardato le singole aziende Motta e Alemagna consistevano nel forte assorbimento in organico fisso di forza lavoro fino ad allora stagionale. Infatti, […], nel 1974, in seguito a decisioni della magistratura che dichiarava illecito il lavoro stagionale e che obbligava quindi le aziende all’inquadramento di tutto il personale di questa categoria, gli organici delle due aziende avevano subìto forti incrementi.
Le due aziende scontavano, inoltre, le conseguenze degli investimenti nei nuovi impianti di Cornaredo (Alemagna) e di Ferentino (Motta). Infatti, all’avvio dell’attività di questi nuovi stabilimenti, un irrigidimento dei sindacati aveva impedito che il trasferimento delle produzioni nei nuovi impianti si accompagnasse ad effettivi alleggerimenti della manodopera occupata nei vecchi stabilimenti, nei quali peraltro veniva meno la possibilità di un equilibrio tra le stagionalità delle produzioni, fattore alla base della logica di diversificazione produttiva delle due aziende.
Un ulteriore fattore che incideva sui costi di mano d’opera era costituito dal fatto che, nelle due strutture aziendali, erano presenti alcune produzioni che venivano effettuate ancora con processi semi-artigianali, comportando di conseguenza livelli di produttività molto bassi.”
Messa questa parte parlo invece di come pensano di uscire da sta crisi e quindi sempre dallo stesso libro di prima, però a pag 132, metto lo schema del piano di ristrutturazione dell’Unidal (Motta+Alemagna).
Tra pag. 53 e 54 dello stesso libro seguire per bene tutti i vari passaggi che vengono fatti fino alla creazione di Autogrill Spa, Tanara ecc.
Aggiungere queste considerazioni;
All’Unidal sarebbero invece rimasti gli stabilimenti di via Silva a Milano, di Napoli, di Segrate e i negozi urbani, che verranno poi acquisiti anch’essi dalla Sidalm. Nonostante un certo rilancio dei marchi Motta e Alemagna e la crescita, seppur non estesa a tutti i comparti, del settore dolciario, la nuova società stentava a vivere, a causa anche dei vecchi debiti e difetti dell’Unidal. L’equilibrio economico, infatti, non fu mai raggiunto, anzi: le perdite di fatturato continuavano ad essere cospicue, come dimostrano ad esempio i 62 miliardi di passivo del 1985. Il 1983, invece, fu l’unico anno che la Sidalm coprì con un attivo, seppur limitato (poco più di 600 milioni di lire). Nel 1984, a seguito di una delibera dell’assemblea straordinaria della Sidalm del luglio 1983, venne presa la decisione di modificare ulteriormente gli assetti societari con la sottoscrizione diretta dell’IRI di una quota di capitale Sidalm per ricostituire il capitale stesso, che era stato ridotto per coprire le perdite del 1982, a 75 miliardi di lire, affidando poi la società alla Sme. Dalla prima metà degli anni Ottanta, quindi, iniziò un nuovo capitolo per il gruppo Motta-Alemagna, sempre all’interno delle partecipazioni statali. Questo nuovo mandato, secondo i soci, avrebbe comportato un risanamento più rapido dei costi aziendali, inserendosi anche nel progetto di creazione della Sme come holding alimentare dell’IRI. Nella relazione che chiudeva il bilancio del 1984 della Sidalm, un passivo di 47,4 miliardi di lire, il management Sme espresse il proprio giudizio sulle cause che avevano determinato quel risultato. Mettere le citazioni del management Sme
Dire della gestione fallimentare dei nuovi dirigenti Sme e mettere lo schema degli andamenti delle quote di mercato motta e alemagna dal 1981 al 1984
finire con queste conclusioni
Le perdite, che continuano anche per gli anni seguenti, e anche per gli inizi degli anni Novanta, avrebbero poi portato la Sme, come si è visto, ad una progressiva privatizzazione dei propri marchi e delle proprie aziende. Nel 1993, l’IRI decise la vendita di Italgel e Gruppo Dolciario Italiano, che tra i vari marchi possedevano Motta, Alemagna, Gelati Motta, Antica Gelateria del Corso e La Valle degli Orti, alla multinazionale svizzera Nestlè.
Anche in questo quadro, l’incapacità di raccogliere la sfida al nuovo mercato sorto negli anni Ottanta, avrebbe visto importanti acquisizioni e partecipazioni di grandi multinazionali straniere, che già da tempo avevano apportato ristrutturazioni aziendali tali da poter affrontare un mercato sempre più concentrato e segmentato. Si ripete, nello specifico, ciò che era stato detto nella prima parte dell’articolo. La conduzione quasi familiare delle imprese private e la concezione che vedeva nella Sme un bacino di voti piuttosto che una vera e propria azienda, hanno portato (tranne alcuni esempi come Ferrero e Barilla) a una grande instabilità delle imprese del mercato alimentare italiano.
Non riuscendo a stare più al passo col repentino cambio non solo della produzione, ma soprattutto dei consumi e delle richieste dei consumatori (che aspiravano a prodotti qualitativamente elevati e a costi accessibili), molte imprese dovettero piegarsi alla potenza dei grandi gruppi internazionali. Questi ultimi non disponevano solamente di grandi capitali che permettevano l’acquisto di macchinari più sofisticati, ma possedevano capacità di marketing molto superiori rispetto ai loro concorrenti italiani. I grandi gruppi internazionali, infatti, riuscivano a diversificare e segmentare la propria produzione in modo da seguire e alle volte anticipare i cambiamenti del mercato nazionale. L’Italia entra quindi in questo periodo nel vero mercato globale, più come terra di conquista che non come zona endogena di espansione. Si assiste perciò a quello che si potrebbe definire una seconda rivoluzione antropologica, oppure alla maturazione piena della prima, teorizzata e analizzata da Pasolini tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. I consumatori italiani, infatti, in questo periodo, entrano a pieno titolo nella definizione di consumatori postmoderni, e forse sono le loro richieste e le sollecitazioni a cui sono sottoposti dalle martellanti campagne pubblicitarie delle nuove proprietà multinazionali a determinare lo stravolgimento del panorama culturale e industriale italiano.