Luce riflessa
Rachel E. Pollock
Collezione di manufatti nicquossee: diario registrato di Vick Flinders, cilindri in cera 1-4 Oggetto: Fardelle “Della” Dicely
Nota dell’Archivista: le condizioni del cilindro sono qualificate come “discrete” giacché piccoli graffi hanno cancellato brevi frammenti di registrazione (di tre secondi o anche meno). I cilindri saranno declassati allo stato “deteriorato/eliminare” dopo dieci casi acclarati di riproduzione. Si prega di limitare la consultazione alla trascrizione allegata a meno di non disporre di una licenza di ascolto erogata dall’ente statale preposto.
Numero attuale di casi acclarati di riproduzione: 7.
Cilindro 1
Dicono che Della Dicely è impazzita. Ha preso e ha piantato il lavoro due settimane fa e nessuno sa dov’è andata. Nessuno lo ha mai lasciato, il lavoro, non nella nostra officina quantomeno, non che io sappia. Dicono che quando torna, se torna, Nonnahee la farà morire di morte lenta. Mi mette sulle spine, questa prospettiva.
Io e Della lavoriamo fianco a fianco in questo laboratorio da quando eravamo molto piccole, lei solo poco più alta di me. Non so se direi che è una mia amica: non saprei se Della ha davvero degli amici. Non saprei dire nemmeno se ne ho io. Magari potrei chiamarla compagna, collega, compare o collaboratrice… qualcosa per indicare la vicinanza che viene dalla fatica condivisa, dalla comunanza con le macchine.
Insomma, io e Della… Ma mi pare di capire che ormai dovrò dire soltanto “io”. Io lavoro la pelle; non scuoio carcasse, non raschio pelli né concio con l’olio: sono un’artigiana del cuoio a pieno titolo. Cucio assieme le pelli per creare tutto quello che ogni mattina mi ordina il caporale: soprattutto roba da lavoro. Faccio cinture portaattrezzi e foderi per coltelli, guanti spessi e sacche da viaggio.
Quelle che a Della piaceva fare più di tutto erano le tute da saldatore: camicioni aperti sulla schiena a maniche lunghe con solo la parte davanti dei pantaloni, cuciti esattamente su misura per adattarsi alle forme degli uomini e delle donne che dovevano proteggere. Qualcuno dice che nel mestiere lei era la migliore, e io ci credo. Figuratevi che Jack-a-Ron Dantsy in persona ha portato qui tutta la sua squadra di saldatori e ha detto a Della di rivestire dalla testa ai piedi loro e pure lui! Jack-a-Ron Dantsy! Io avrei dato chissà cosa solo per potermi acquattare in un angolo della stessa stanza in cui si trovava lui, e invece Della che fa? Lei mica per niente: gli va dritto incontro, gli stringe la mano come nulla fosse – gli ha stretto la mano, cazzo! – poi tira fuori la corda e comincia a prendergli le misure. Che faccia di bronzo, ha Della.
Io invece no: io sono lenta come una lumaca. Io tengo la testa bassa e tiro avanti il carro. Jack-a-Ron Dantsy a parte, non sono granché portata per l’alta geometria del cucito su misura, fosse anche sezione perduta: crepa nella superficie di cera seduta davanti a una pila di pezzi tagliati, tra borse, sacche e cinturoni da meccanico, a produrre pezzi in serie. L’artigianato del cuoio è un lavoro pesante, ma noi siamo contenti. Meglio di altri mestieri, questo è sicuro: almeno alla fine della giornata io ho un bel mucchio di cose fatte da me, da me con le mie mani. Il ferroviere e il fuochista cosa possono dire? Che hanno spostato vagoni da un capo all’altro dello scalo, che hanno spalato tot cumuli di carbone? Mestieri necessari, impieghi onesti, non c’è che dire, ma io mi chiedo sempre: per il ferroviere, per il fuochista, che soddisfazione c’è? O forse loro non hanno bisogno di trovare un appagamento nel lavoro, di quello non gli importa niente. Possibile, ma quanto a me: datemi del cuoio da lavorare ogni giorno della mia vita.
Cilindro 2
Ci dicono che siamo l’ultima ruota del carro del progresso, noi artigiani del cuoio, perché lavoriamo la pelle invece del metallo, ma Della lo aveva capito che questa non è altro che una menzogna. Me lo ha detto prima di scappar via chissà dove: noi non siamo l’ultima ruota proprio di niente. Facciamo parte integrante del ciclo. Produciamo i vestiti di pelle che proteggono i saldatori che costruiscono le macchine che costituiscono la base del mondo di Vacuilandia. E cosa usiamo per produrre quei vestiti? Macchine. E cosa serve ai saldatori per costruire le macchine? I nostri vestiti di pelle, per proteggersi da scorie e scintille volanti. Saremo pure pezzi piccoli, ma togli anche solo un dente da un ingranaggio e la macchina non funziona più a dovere. Noi, mi ha detto Della, siamo importanti.
Lavoro il cuoio da una vita intera, da quando sono diventata abbastanza alta per raggiungere i pedali della macchina per cucire. Ma anche prima sezione perduta: crepa nella superficie di cera sfrecciava lungo il tagliacinghie, io decoravo i bordi con il dentellatore a manovella e con pezzetti di cera colorata tracciavo sagome sulle pelli da tagliare.
È stato quando ero piccina e imparavo il mestiere da Della che è successo quel che non potrò mai perdonarmi, l’orribile incidente per cui sarò sempre in debito con lei sezione perduta: crepa nella superficie di cera inseguendo un anelito di espiazione.
L’avete mai visto, voi, un tagliacinghie? Ci vogliono due persone per azionarlo, e io quel giorno lavoravo assieme a Della: eravamo tutte e due cosette da nulla, ma io ero di gran lunga la più piccola delle due. Della mi stava spiegando come funzionava la macchina, che cosa toccava fare a me e cosa a lei, quando è successa la disgrazia. Lei teneva la lama e io la pelle, e mentre tirava a sé il manico del tagliacinghie, sezionando svelta e agile il cuoio, per l’emozione diedi alla striscia un piccolo strappo, un colpetto che spinse la lama oltre il bordo e, oh! Le tagliò la mano, e allora il mondo prese a girarmi intorno veloce e assaporai la bile dell’orrore nel capire che cosa avevo fatto.
All’inizio piansi molto più di lei: tutto quel sangue a terra e la vista del dito di Della, gettato lì come un verme degli abissi scavato fuori da una caverna. I denti mi battevano forte, questo è certo. Della, invece, non emise un gemito e non versò una lacrima finché il caposquadra non le cauterizzò il piccolo moncone con un ferro infuocato: allora sì che gridò, e le lacrime le sgorgarono grosse e tremolanti.
“No, Vick, non devi provare rimorso”, mi ha detto poi. “Non è colpa tua”.
Della avrebbe pure potuto dirmelo centomila volte: sarebbe sempre rimasta una bugia.
tre secondi di pausa nella registrazione
In queste due settimane trascorse in officina senza Della mi sembra siano passati almeno due anni, o forse due vite, perché oltre alle sue capacità e al suo aiuto per smaltire il carico di lavoro, abbiamo perso anche le sue storie. Io la testa per intessere trame non ce l’ho, ma non fa niente: cose del genere è meglio lasciarle ai cantastorie. E Della è la cantastorie del clan dei Dicely.
Della conosce più racconti di quanti peli ci sono su una pelle appena staccata dalla carcassa di un animale, e mica solo quelli del suo clan o della nostra gente, i Nicquossee: conosce anche le leggende dei Sallagee e i poemi epici dei Geriyan e, già!, la storia dei Grandi Costruttori, ma più di tutto a me piace quando racconta le fiabe dei Linjinfolk. (Quelle le ha imparate dal clan dei Dantsy, e qualcuna da Jack-a-Ron in persona!) Non mi ero mai accorta di quanto passassero in fretta le giornate quando il lavoro correva nelle macchine tra le svelte dita delle storie di Della, ma ora che lei se n’è andata la melodia e il ritmo dei suoi racconti non hanno lasciato spazio che al costante ripetersi del tonfo delle macchine, al fruscio dei volani e al moto dei pedali, interrotti solo di tanto in tanto dall’improvvisa aritmia di uno sbuffo di vapore scoppiettante. La nostra mente è ora in balìa di se stessa, e la mia sembra solo capace di scorrazzare e arrancare lungo il vortice che si stringe sempre di più attorno alla figura centrale, alla figura folle e perduta di Della.
Sento la sua mancanza.
In sua presenza io, la spenta Vick, brillavo di luce riflessa.
Cilindro 3
Oggi il mondo è cambiato.
O almeno è cambiato il mio, di mondo, perché oggi il mio buon Lundy ha portato a casa un’opera divina, un congegno che mi ha fatto infervorare, perché di colpo spalanca la porta che conduce alla mia salvezza!
Il mio Lundy è un operaio meccanico: monta piccole macchine che eseguono lavori di precisione in un’officina grande quanto il nostro laboratorio. Le macchine non le progetta: le mette solo assieme secondo gli schemi disegnati dagli ingegneri nonnahee. (I Nonnahee non ci permetterebbero mai di creare cose astratte, non in un contesto ufficiale, a ogni modo.) Però Lundy è una specie di inventore clandestino: per costruire i suoi aggeggi porta a casa le parti rotte di oggetti trovati fra i rifiuti, cosa che naturalmente è vietata, mica si può frugare nell’immondizia, ma lui è in buoni rapporti con gli addetti allo smaltimento dei rottami e delle scorie della fabbrica sezione perduta: crepa nella superficie di cera altro modo, intascando un volano rotto o una tanica per l’olio tutta ammaccata. È un brav’uomo, Lundy, e sta attento a tenere i suoi lavoretti lontano dagli occhi dei Nonnahee, quindi la sua dedizione al fai-da-te non mi ingelosisce affatto: quel che è certo è che così sta lontano dalle amanti in carne e ossa.
Già due volte Lundy ha portato a casa macchine quasi funzionanti ricevute in regalo da Garl Spitshine, il suo più grande amico tra gli addetti allo smaltimento scorie. In quale cumulo marcio e ripugnante o in quale melma chimica Garl vada a cercarle, non lo so e non voglio saperlo: temo che magari le rubi, e preferisco di gran lunga rimanere all’oscuro di tutto quanto. Io so solo quanta gioia danno al mio caro Lundy e, devo ammetterlo, a volte anche a me.
Il primo di questi aggeggi era uno strano congegno con una manovella, una piastra da bollatrice e un cassetto pieno di minuscole formine in piombo, tutte disposte in bell’ordine. Lundy ha sostituito l’albero a gomito storto e mi ha illustrato la vera funzione della macchina: stampare piccoli biglietti di carta con parole nella lingua dei Nonnahee. Che cosa se ne faccia Lundy, per me è un mistero: non riconosce i simboli, ma adora sfornare risme su risme di bigliettini incomprensibili, e devo riconoscere che dà una certa soddisfazione girare la manovella a ritmo mentre si guardano i foglietti passare attraverso la macchina per spuntarne fuori con le loro righe di segni ordinati. Poi li bruciamo tutti – spesso prima che l’inchiostro si asciughi – per timore che qualcuno li scopra.
Il secondo esproprio, però, mi ha rubato davvero il cuore: era l’apparecchio su cui ho impresso questi pensieri, un registratore a cilindri di cera. Era conservato in una teca di legno scheggiato (che Lundy ha sostituito) e agli ingranaggi interni mancavano i denti come a un mucchio di vecchietti. La cornetta era ammaccata, il mandrino storto, la puntina ricurva come un giunco calpestato. Come aveva fatto con la stampatrice per biglietti, Lundy ha recuperato i pezzi mancanti e ha riparato quello strano aggeggino armeggiandoci finché non è riuscito a riportarlo in vita.
Non dimenticherò mai la sera che me lo ha portato e mi ha spiegato come funzionava. Accucciata sulla nostra rozza tavola c’era la macchina, e lì accanto Lundy, sorridente come un padre che abbia appena avuto il primo figlio, tirava fuori, stringendo il perno fra due dita, un tubo di cera brunastra. Ha girato la manovella, ha collocato il cilindro sul mandrino, ha messo il riproduttore in posizione e lo ha acceso. Non credevo alle mie orecchie quando, dalla bocca della macchina, è uscita la voce di Lundy:
“Voglio che tu sappia, amore mio, che ho insegnato a questi ingranaggi a parlare affinché potessero comunicarti i sentimenti del mio cuore. Essi appartengono tutti a te, per sempre”. Poi la macchina rise con il tipico arpeggio di Lundy.
Io me ne stavo lì, a bocca aperta, senza sapere che pesci pigliare. La risata di Lundy mi giunse come un’eco dalla sua bocca e allora neanch’io potei trattenere… caspita, ho perso il filo del discorso per tutto un cilindro. Sciocchezze a parte, devo sbrigarmi a venire al punto: oggi Lundy ha portato a casa una mano meccanica.
Nota dell’Archivista: Anche se a una prima impressione questo brano può apparire una registrazione spontanea, la voce che pronuncia la parte di Lundy Flinders ascoltata “dalla” macchina è di fatto quella dello stesso Flinders, sicché il presente autore è giunto alla conclusione che Vick Flinders aveva già organizzato i suoi ricordi in anticipo e ne coordinò la registrazione assieme al marito. Una possibilità alternativa è che Flinders abbia replicato il registratore a cilindri di cera in toto e che la signora Flinders abbia utilizzato un secondo fonografo per riprodurre al momento giusto la registrazione originale della voce del consorte. La chiarezza e il volume del dialogo danno tuttavia a chi scrive motivo di scartare tale ipotesi.
Cilindro 4
Sono passati ormai diversi giorni da quello che a Lundy e a me piace chiamare l’Avvento della Palma e, oh! Quante cose da raccontare!
La povera mano, come la stampatrice per biglietti e il fonografo prima di lei, è arrivata qui ridotta uno strazio. Come al solito, Garl è stato il tramite di questo oscuro recapito, ma non m’importa se l’ha sottratto a un Nonnahee senza un braccio mentre quello dormiva. Osservandola, ogni angolo spasmodico della mia mente si inonda di un tenue bagliore, di un sollievo rinfrancante. Da quando l’ha portata da noi, Lundy ci armeggia attorno ogni notte fino alle ore piccole e io, pur non essendo portata per i congegni meccanici, lo aiuto in quel che posso, cercando nella sua collezione rotelle uguali a quelle rotte che lui estrae dagli ingranaggi e ripulendo quelle intatte da recuperare. L’olio di gomito non mi spaventa, non me, la diligente Vick.
La prognosi di Lundy per il povero artiglio contorto è triste, ma lui è spesso una nube tempestosa che offusca i raggi del mio sole. Sostiene di preferire le prospettive tetre, ma la verità è che il mio ottimismo gli dà forza. Io lo so dal momento in cui ho messo gli occhi su quella meschina: se mai la storia del mondo è stata scritta dagli dei di un popolo, allora era destino che Garl desse questa mano a Lundy ed è destino che Lundy la rimetta a posto.
Oh, ma non posso tenerlo per me: ho nuove su Della Dicely!
Forse sono stata troppo sfacciata, ma ieri durante la pausa di metà turno sono andata al cantiere navale, dove Spondee, la sorella di Della, lavora come intrecciatrice e nodista. Trovarla è stato piuttosto facile: Spondee è alta e ha una corporatura mascolina, ma quanto a me, ho passato un sacco di tempo a tentennare e a cercare di farmi coraggio. Non sono affatto granché come conversatrice! Spondee, al contrario, mi ha lanciato un’occhiata di traverso ed è venuta subito dalla mia parte, per chiedermi che ci facevo ai cantieri. Devo esserle sembrata una povera scema, dato che avevo paura di pronunciare il suo nome ad alta voce, ma sezione perduta: crepa nella superficie di cera muovendo le labbra e gesticolando sono riuscita a farle capire che lavoravo nel laboratorio di Della. A sentire quelle parole Spondee ha sgranato gli occhi. Mi ha sibilato di star zitta, mi ha afferrato la mano e a grandi passi si è diretta verso il fondo del molo più vicino, trascinandomi, incespicante, dietro di sé.
In cima al molo, dove solo il legno e il ferro degli scafi e qualche volteggiante uccello marino potevano origliare, Spondee, gli occhi di fuoco, mi ha fatto l’onore di una frase criptica:
“Troverai sezione perduta: crepa nella superficie di cera scalo ferroviario di notte, nel vetro rotto fra le braci”.
Poi i suoi occhi si sono fatti gelidi e opachi e con i suoi lunghi passi si è allontanata in fretta, lasciandomi tremante fra i fetidi spruzzi oleosi del mare. Ma io mi sarei messa a ballare, tanto ero piena di gioia! Della deve essersi nascosta da qualche parte allo scalo merci e conto i giorni che mi separano dal momento in cui andrò a cercarla.
Non appena Lundy e io avremo riparato la mano meccanica, le porterò una lampada e la chiamerò fuori dalla sua buia caverna di pazzia, se è vero che è pazza, facendole segno con un lucente dito d’ottone.
Nota dell’Archivista: Il diario su cilindri termina qui. È un fatto ben documentato che Fardelle “Della” Dicely possedesse solo nove dita, avendone perso uno in gioventù a causa di un incidente, ma non ci è giunta notizia del suo impiego di protesi di qualche tipo. Sebbene numerose fonti raccontino il ritorno di “Della” Dicely a Vacuilandia e il conseguente colpo di stato da lei posto a segno per rovesciare i dominatori Nonnahee ed emancipare i Quattro Popoli, al di là di quanto contenuto nella presente registrazione, della sorte di Vick Flinders nulla è dato sapere.