Il babau
“Non andare lì da sola di notte: quella parte della città è zona da lupi! Non ne torni viva.” le aveva detto sua madre.
“C’è la tratta delle bianche: la signora Ciceri mi ha assicurato che…” aveva rincarato la dose sua nonna.
“Se proprio devi andarci da sola, mettiti la salopette antistupro in jeans!” le consigliò più praticamente sua sorella.
Leila aveva accettato il consiglio. La salopette era un po’ stretta e le tirava al cavallo del pantalone, ma almeno poteva cincischiare con i bottoni che agganciavano le bretelle quando era nervosa; era nettamente meglio che rosicchiarsi le unghie.
Al momento Leila era completamente impaurita. Gino, non si era visto e non rispondeva al cellulare. Aveva scaricato la batteria del suo a forza di chiamarlo, ormai era tardi e non passavano neppure più mezzi pubblici.
Leila si era nascosta in un vicolo poco illuminato perché sulla strada principale aveva visto una banda di ragazzi avventarsi su di una macchina.
All’improvviso al buio sentì un rumore metallico. Il cuore iniziò a batterle forte nelle tempie. Si girò di scatto e gridò “Chi c’è?” con voce incerta, quasi implorante. Solo un fruscio le rispose.
Leila sentiva come una palla da biliardo che le bloccava la gola, le gambe le formicolavano, ma le obbligò a muoversi e a correre il più velocemente possibile lungo il vicolo buio. Il suono strisciante iniziò a seguirla.
Si sentiva come tornata bambina, cercava di sfuggire al babau dei sui incubi, e come allora l’orrore le impediva di urlare.
La trovò la signora Ciceri la mattina dopo, accucciata nell’androne, con la schiuma alla bocca e mezza impazzita di paura.
Un bottone della salopette antistupro aveva ceduto, una delle bretelle si era allungata fino a terra ed il suo strusciare a terra l’aveva terrorizzata per tutto il percorso fino a casa.