Manifesto

Il Manifesto del nostro progetto.
La scienza è un monopolio […] per la sua stessa natura: i profani hanno accesso solo ai risultati, non ai metodi, cioè possono solo credere e non assimilare.
Simone Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale

Il progetto « Mezzi Storici » (?) nasce dall’idea che le discipline storiche, e più in generale le scienze sociali, non possono ridursi a svolgere un ruolo ancillare, di sostanziale mantenimento dello status quo. Una prima e immediata applicazione di quest’idea sta nel socializzare le riflessioni e i dibattiti che nascono dal laboratorio di chi porta avanti ricerche di storia, con il valore aggiunto di dare modo a chiunque di sbirciare dietro le quinte, nella cassetta degli attrezzi. Il Passato, la Memoria e le loro Rappresentazioni (in breve ciò di cui si occupa la storiografia) sono parte integrante del soggetto/oggetto civico, ineliminabile componente di qualsivoglia ragionamento sociale. È per questo che ci proponiamo di superare così i confini strettissimi del dibattito per soli addetti ai lavori, troppe volte asfittico e autoreferenziale.

Per fare ciò pensiamo sia indispensabile mettersi completamente in gioco, senza troppi timori. Siamo un gruppo di studenti e studentesse di storia, una comunità di giovani in formazione che vogliono rendere operative queste idee. Per noi la crescita individuale e la consapevolezza del nostro ruolo nella società sono in stretto contatto con la voglia di far emergere in maniera concreta quanto di buono riusciamo a trarre dal processo conoscitivo. I nostri sforzi, dunque, mirano a costruire un cantiere di condivisione sistematica di percorsi e approcci eterogenei (all’interno) e, nello stesso tempo, a creare un terreno di comunicazione fra pari (all’esterno). Senza arrogarci fini pedagogici, vorremmo coinvolgere il “pubblico” nella nostra (comune) esperienza storiografica: non ci interessa trovare un uditorio, ma persone con cui dialogare.

Ciò che più ci preme è canalizzare i singoli sforzi verso la formazione di un prodotto culturale di qualità che, come tale, sia saldamente basato sull’umiltà ed onestà intellettuale di chi vi prende parte, su di un metodo storico che non riconosce sciovinismi e strumentalizzazioni, ma punta al rigore e alla verificabilità delle tesi proposte e degli argomenti a supporto di esse. Ci sembra la maniera migliore per abbattere quel muro che separa, verticalmente, chi ha accesso ai metodi da chi, invece, possiede solo i risultati. Se è chiaro ad ognuno che solo i primi possono riflettere criticamente e comprendere consapevolmente il senso di quei discorsi, respingiamo con forza l’idea di perpetuare questa divisione paralizzante.

Il cantiere è, per sua natura, un’entità aperta e in continua trasformazione, animata dalle persone che investono quotidianamente tempo e risorse per raggiungere i nostri intenti. Ci siamo dotati degli strumenti che, al momento, ci sembrano rispondere meglio alle nostre esigenze: un portale per la discussione interna (comunque accessibile a chi vorrà sbirciare) e uno spazio in stile blog che è la nostra finestra sul mondo. Si tratta di usare consapevolmente i nuovi mezzi di comunicazione, senza dimenticare quanto di buono il passato ha da insegnarci: le assemblee, i dibattiti pubblici, i seminari, le chiacchiere informali…

Dialogando di storia, qualcosa ne verrà fuori.

 

Idee-chiave per il Manifesto, come le ha individuate l’assemblea del 9 marzo 2011:

Il nostro progetto è un organismo, così composto: da un lato, creare uno spazio di condivisione e discussione sistematica all’interno del Coordinamento; dall’altro, creare uno o più modi per proiettare queste riflessioni sull’esterno, sulla società.

  • Il primo obiettivo si realizza nel Portale. Fra le altre cose, esso può diventare anche un archivio di materiali storiografici (ma non solo) che a lungo andare può assumere una certa importanza per noi e per altri.
  • Il secondo, invece, può realizzarsi in vari modi:
    • «mettiamoci la testa»: un sito web/blog su cui riversare articoli (monografici? tematici? a parola-chiave ?) che siano scientificamente rigorosi e, al contempo, a spiccato carattere divulgativo; → (operativo fra due mesi)
    • «mettiamoci la faccia»: conferenze, seminari, convegni, cicli di incontri (magari in collaborazione con saggisti, storici di professione ecc..); ma anche: mostre e/o altro. → (per ora solo idee alla rinfusa, ma bisogna iniziare a pensarci su)

I suoi pilastri sono:

  1. Scientificità: siamo esseri umani che studiano l’umanità nel suo divenire storico. Abbiamo quindi tutte le parzialità degli esseri umani: convinzioni, idee politiche, incrostazioni, proiezioni soggettive nell’analisi. Non cerchiamo, positivisticamente, la chiave che apra tutte le porte e per questo ci sforziamo a palesare il più possibile questo limite, per essere nel contempo rigorosi e trasparenti:
    « il nostro faro deve essere la scientificità dei contributi, non bisogna mai cadere nella trappola pericolosissima di volerci purificare da fantomatiche “tossine”, di abusare della storiografia per prendere le persone allo stomaco »
    « bisogna palesare le proprie “idee”, non cercare di mascherarle. Bisogna dare al lettore la possibilità di capire fino in fondo che il metodo storico utilizza dei fatti (più o meno facilei da ricostruire) all’interno di una cornice interpretativa ben precisa »
  2. Proiezione extra-accademica: l’Accademia non lo vediamo come un monolite, ma pensiamo che abbia dei seri problemi di comunicazione con tutto ciò che si colloca al suo esterno. Ci sembra indispensabile sdoganare alcuni “discorsi” e alcune riflessioni storiche, senza con ciò svilirli nel loro essere critico-scientifici e “complessi”: nel senso che tentano di individuare degli elementi di risposta/spiegazione del reale che non siano semplicistici.
  3. Responsabilità: ci riteniamo individualmente responsabili di ogni contributo scientifico che diamo al progetto e collettivamente ci impegnamo a far sì che il laboratorio interno sia un vero e proprio “seminario permanente” dove consigli, critiche costruttive e aiuto reciproco possano arricchire il lavoro di tutti.
 
 

I fatti dei quali siamo a conoscenza in realtà sono fatti, isolati e di per sé neutri, nel senso privi di difficoltà. È la loro interpretazione e la relativa narrazione che andiamo a costruire che determina la complessità della ricostruzione fra l’interconnessione di quei fatti. Dunque cosa intendiamo per “cornice interpretativa ben precisa”? Quella della scientificità? Più che cornice interpretativa io la definirei la matrice dalla quale deve partire la nostra ricostruzione, è il colore necessario a dar forma alle figure dell’affresco. Ma solo grazie all’interpretazione e alla ricostruzione diamo vita a quelle figure e alle loro storie e le carichiamo di significati, rendendole quindi storiche. Senza la scientificità dei fatti le figure non trovano forma nel nostro affresco, senza l’interpretazione e la narrazione rimangono statiche, immobili, astoriche, finite.

 
 

Preciso, perché forse è fraintendibile. Grazie dello spunto marabou!

La cornice interpretativa (più o meno) precisa è l’impostazione interpretativa, è il punto di vista. Palesarlo è un’operazione di trasparenza indipsensabile, altrimenti ci si pone come degli osservatori staccati ed esterni che (ri)costruiscono la Verità.

La scientificità, invece, è il metodo. Quel metodo, ad esempio, che mi porta a palesare il mio punto di vista, il modo in cui intepreto una catena di fatti, la maniera in cui li metto uno dopo l’altro.

Ovvio è che la prima (che ho chiamato, forse troppo semplicemente) cornice interpretativa, è naturalmente plurale (dipenda dalla persona-storico, per intenderci).

 
 

Condivido pienamente i due presupposti generali.
Premetto inoltre, scusandomi, che ho partecipato ad una sola assemblea, quindi mi sono un po’ perso lo sviluppo delle idee “a caldo”.
Secondo me, stabiliti quei due presupposti inderogabili, a questo punto è opportuno chiedersi che cosa condividere.
Finché restiamo poche persone trovo che la condivisione contenutistica sia possibile e semplice. Ma se volessimo\riuscissimo\potessimo allargare la cosa a studenti di altre formazioni “affini” credo che possa sorgere un problema organizzativo non da poco.
Anche per questi motivi sostengo che a lungo termine sia più utile una condivisione non più o non solo di carattere meramente contenutistico tipo rivista, perché ognuno di noi ha interessi diversi, modi diversi di scelta del piano di studi, metodi di preparazione degli esami diversi e un diverso modo di concepire la propria preparazione universitaria e credo non gli sia molto funzionale una banca-dati troppo carica e alluvionale.
Credo che un progetto di condivisone si apra meglio verso l’esterno se è strutturato come un archivio di “stimoli, indicazioni di lettura e approfondimento, indici tematici, discussioni, recensioni”
(ovviamente meditati) piuttosto che con risultati di ampio respiro.
Insomma un qualcosa in cui si condivida un processo di ricerca in sé anche minimo o uno stimolo più che un risultato definitivo o parziale, perché non siamo un équipe di ricerca su un medesimo argomento e volti ad un medesimo risultato.
Pensando all’apertura verso l’esterno immagino piuttosto un ipotetico studente che deve fare la tesi e confrontando bibliografie, abstract, recensioni e commenti sviluppa una sua idea originale e riceve uno stimolo per una ricerca certamente più originale rispetto ad una meramente compilativa con decine di libri da sfogliare.
Sarà una mia mania, ma credo che il più grave difetto della nostra formazione sia spesso una totale incomunicabilità tra diversi approcci interpretativi: sociale, economico, culturale, antropologico, politico, perché ognuno tende spesso a considerare l’approccio cui si sente più vicino come personalità, esperienze eccetera come quello principale, senza il quale ogni altra interpretazione non esiste (…e parlo per esperienze recenti con alcuni docenti…).
Credo quindi si debba lavorare anche su uno scambio di metodi e categorie.

p.s. anche perché se siete tutti prolissi quanto me non ne usciamo vivi…

 
 

Ieri sera m’è capitato di leggere questo passo, e vista la discussione di ieri pomeriggio, mi sembra giusto citarla qui:

“La scelta delle situazioni che hanno bisogno di essere chiarite non può essere fatta a priori: dipenderà dalla situazione in cui viviamo e dalle difficoltà che dobbiamo risolvere. La scelta degli argomenti di ricerca è naturalmente personale e soggettiva e può ben dipendere da ciò che è rimasto delle nostre convinzioni religiose, filosofiche o morali. Ciò che importa è che, una volta iniziata la ricerca o l’insegnamento, dobbiamo essere guidati dai dati che ci sono forniti o che siamo in grado di scoprire. I motivi che danno inizio ad una determinata ricerca non devono influire sul modo in cui la ricerca stessa viene condotta. A loro volta, i risultati della ricerca dovranno essere esaminati sulla base di ciò che resta delle nostre convinzioni religiose, filosofiche e morali, prima di fare delle nostre conclusioni il punto di partenza di qualche azione. La conoscenza del passato è utile, ma non sufficiente, condizione per l’azione.”
A. Momigliano, “Tra storia e storicismo”.

Poi in realtà continua, ma io mi fermo qui.

p.s. Viva St. Patrick!

 
 

« Non è nemmeno dire che la pratica storiografica si basi su regole particolarmente astruse. Anzi, sono molto semplici. Uno storico deve fondare la sua ricostruzione su documenti di cui si è accertata l’attendibilità. Meglio se i documenti sono molteplici e convergenti, naturalmente. Inoltre uno storico – come ci ha insegnato molti anni fa Marc Bloch nella sua bellissima Apologia della storia – deve trattenersi dall’emettere giudizi di valore. E cioè uno storico non deve spiegarci se Robespierre o Garibaldi sono stati dei mascalzoni, ma deve descrivere cosa hanno fatto e perché l’hanno fatto. E, diciamo la verità, di storici e storiche in gamba, in grado di ricostruire con seria presuasività il passato, ce ne sono molti. Non che siano tutti perfetti; nessuno scienziato lo è. Né che non facciano mai errori; naturalmente non è così. Ma hanno un metodo scientifico da seguire, e quasi sempre cercano di seguirlo con rigore. » CONTINUA
Alberto M. Banti, L’orecchio tagliato di Garibaldi, in «Saturno» inserto culturale de Il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2011, p. IV.

 
 

E’ una sfida ufficiale?
Rimpiango solo di non essermi portata dietro “Apologia della storia”.

A parte gli scherzi, invece di fare citazioni alla cazzo, riporto la fonte precisa di Momigliano:

A. Momigliano, Tra storia e storicismo, Pisa, Nistri-Lischi Editori, 1985, p. 74; il capitolo da cui ho tratto la citazione è “La storia in un’età di ideologie”.

 
 

Io lo sto leggendo ora.. si, dichiaro aperta la sfida :)
scherzi a parte, se domani sei in dipartimento alle 12 si butta giù qualche riga di manifesto. Se ti unisci a noi, sei benvenuta.

 
 

agguingo il mio contributo! A fra poco!

Portare avanti un discorso sulla Storia non può e non deve essere un’attività esclusivamente accademica.

Il Passato, la Memoria e le Rappresentazioni di questi sono parte integrante del soggetto/oggetto civico, ineliminabile componente di qualsivoglia ragionamento sociale. Con ciò, la Storiografia si vuole inserita in un complesso mosaico disciplinare che non può disgiungere la scrittura storica dalle scienze sociali a questa collaterali. Tale intimo e connaturato legame ha valore di statuto epistemologico.

Parimenti, si vuole collocare la storia in più campi applicativi. Fuori dalle aule accademiche e lontani da argomentazioni anodine è possibile costruire un sano discorso culturale.

Onde proporlo, l’utilizzo dei nuovi media è fondamentale. Questi strumenti permettono di introdurre nel dibattito storiografico idee come quella di “condivisione”. La sinergia dei singoli sforzi contribuisce, quindi, alla formazione di un prodotto culturale di qualità.

Come mezzi storici (thanks to Marabou) vogli(amo) proporre un “cantiere storico” basato sull’umiltà ed onestà intellettuale, su di un codice deontologico che abbiamo appreso nelle aule e che non riconosce sciovinismi e strumentalizzazioni, ma è altresì improntato alla verificabilità delle tesi proposte e degli argomenti a supporto di queste sussunti.

Il cantiere è per sua natura un’entità in continua trasformazione e proprio l’elaborazione vuole essere caratteristica fondamentale di questo progetto.

Infine, il cantiere ha un fine essoterico: nel cantiere si costruisce qualcosa che servirà. Senza arrogar(ci) fini pedagogici vorremmo coinvolgere utenti e non nella nostra (comune) esperienza storica facendo sì, in ultima istanza, che i nostri saperi accademici non rimangano solo “vuoti da riempire, ma fuochi da accendere”.

 
 

Mi sono permesso di renderlo pubblico, così chi capita sulla home page può leggerlo.

 
 

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