Scientismo, marxismo, materialismo storico

Vi ricordate l'articolo su Benigni all'inizio della nostra storia? Ne venne fuori qualcosa di interessante. Chi lo sa se anche questo può scatenare discussione interna..

L’ape e l’architetto 35 anni dopo

da: danielebarbieri.wordpress.com/2011/11/2...

Sono moltissimi i libri etichettabili di sinistra che in Italia hanno avuto gran successo di vendite almeno sino all’avvento del rampantismo e/o berlusconismo. Pochissimi però quelli che potremmo definire di sinistra estrema o radicale. Fra loro spicca una raccolta di saggi che – non per caso negli anni ’70 – scatenò polemiche feroci nonostante l’argomento non fosse dei più facili.

Si intitolava «L’Ape e l’architetto» con il sottotitolo «Paradigmi scientifici e materialismo storico» e uscì da Feltrinelli. Ne erano autori 4 scienziati (fisici teorici): Giovanni Ciccotti, Marcello Cini (allora il più noto), Michelangelo de Maria, Giovanni Jona-Lasinio. A un saggio collaborò Elisabetta Donini che però non era citata in copertina.

«L’Ape e l’architetto» torna oggi nelle librerie in una bella coedizione fra università Bicocca e Franco Angeli editore (300 pagine, 33 euri) con una serie di riflessioni dei 4 autori integrate da saggi di Arianna Borrelli, Marco Lippi, Dario Narducci e Giorgio Parisi.

Una «chimera» (così si intitola la collana), un’operazione di pura nostalgia o invece il recupero di un testo importante? Persino uno dei 4 autori confessa il suo «spaesamento», altri si stupiscono di quante certezze avessero e del loro saldo marxismo. Eppure, come sottolinea Narducci, «L’ape e l’architetto» pur se invecchiato (e difficile) resta «un libro per tutti» quanto ai temi. I modi di produzione della scienza, la sua presunta neutralità, i suoi intrecci con Palazzi e Poteri sono questioni complesse che chiamano in causa l’intera società; in termini più rozzi ci si può chiedere: ricercare cosa, per chi e spendendo quali e quanti soldi, con che idea di società? Se ne può ragionare o dobbiamo solo tacere facendo decidere tutto a scienziati e politici? Si dirà che oggi non sono più gli Stati (con i soldi nostri) a finanziare le ricerche ma i privati. Motivo di più per capire se – banalizzo al massimo – il privato ci vuol propinare una inutile ma costosa macchinetta al posto di un utile e gratuito “bene comune”.

Il titolo misterioso del libro è facilmente decifrabile a chi abbia studiato il vecchio Marx: proprio all’inizio del «Capitale» infatti si ragiona intorno alle differenze fra «il peggiore architetto» e «l’ape migliore» (o il ragno che però viene ingiustamente dimenticato nelle citazioni). Da qui il volume si articolava in differenti saggi sulla storia della scienza, sulle sue diverse ideologie, su scientismo e meccanicismo, sul «valore-lavoro come categoria scientifica» e soprattutto sulla «produzione della scienza nella società capitalistica avanzata» con un po’ di eccetera: vi erano evidenti richiami alle idee del comunismo ma senza alcuna simpatia per la sua concreta versione (l’Urss) di allora.

Stupisce oggi chi “mastica” un po’ di scienza e legga (o rilegga) questo libro quanto poco quei saggi si mettano in relazione con Thomas Kuhn, Paul Fayerabend, Imre Lakatos, Karl Popper che all’epoca stavano squassando, in differenti contesti, certe idee consolidate («paradigmi») nel mondo delle scienze. I nemici del libro invece sono chiari: i critici irrazionalisti della scienza (che da allora sono divenuti legioni) e gli scientisti di sinistra, diciamo chi ha fiducia illimitata nel potere “salvifico” della scienza in sè.

Era la prima volta che, in Italia, alcuni scienziati mettevano seriamente in discussione lo scientismo (e l’inevitabile “progresso” che sempre e comunque ne deriverebbe, un caso di “a prescindere”) e allo stesso tempo facevano i conti con il marxismo anzichè con le sue versioni da “bignamino”. Ovviamente nelle furibonde polemiche di allora contro “la banda dei quattro” si preferì parlare d’altro, a esempio ridicolizzando l’idea di fondo del libro con argomenti del tipo «la legge di gravità fa cadere i corpi tanto nel capitalismo che nel socialismo». In realtà quel che «L’ape e l’architetto» poneva con forza è assai diverso. La scienza ovviamente non è neutrale nè slegata dai poteri ma è anche fortemente determinata nella sua direzione di ricerca, nel suo pensare dai contesti storici e dalle ideologie dominanti: dunque al suo interno si aprono (o si chiudono) strade in base a rapporti di forza precisi e non solo ai paradigmi egemoni nella “comunità” degli scienziati come già aveva spiegato benissimo Thomas Kuhn.

Moltissimo – quasi tutto – è cambiato, nei 35 anni trascorsi, anche nella scienza, per esempio assegnando il “predominio” alla biologia anzichè alla fisica, rafforzando il ruolo della “big science”, maggiormente intrecciando la ricerca con le multinazionali e con i militari. Nel frattempo le tecnologie hanno invaso le nostre vite mentre noi (grazie anche alla scuola) siamo diventati sempre più analfabeti delle scienze (e non solo): viviamo dunque in un tecno-vudù, in una tecno-magia dove tecnologie (e scienze) sono ovunque eppure la maggior parte di noi non ne comprende le regole di base. Anche questa intuizione serpeggia nel vecchio «L’ape e l’architetto» pur se i computer domestici (e le tecno-manie successive) erano allora quasi impensabili.

Insomma, pur con i suoi limiti temporali e politici, «L’ape e l’architetto» allora seppe porre interrogativi rilevanti ed è un bene che qualcuno – la serissima Bicocca nientemeno – ci inviti a riaprire quelle pagine, a ripensare a quelle domande rimaste senza risposta e che anzi i Palazzi considerano irriverente persino siano formulate. Mi attendo che qualcuna/o (Alessio? Andrea? Barbara? Fabio? Lia? Marco?) su questo groviglio di problemi e di opportunità intervenga in blog e che la discussione riparta… almeno qui, in uno spazio minuscolo quanto irriverente.

A proposito: se non vado errato finora i grandi media hanno ignorato la ristampa (c’avrei quasi giurato). Ovvia eccezione «il manifesto» dove in un articolo gustoso quanto sapiente Marco D’Eramo fra l’altro definisce «L’ape e l’architetto» niente meno – e ha ragione – che «un testo miliare da rileggere anche per capire quanto da allora è cambiato». Di gran soddisfazione (per me asimoviano, dickiano e ora sawyeriano) il suo PS che riporto per intero: «Da un punto di vista strettamente filosofico il grande interrogativo sulla storicizzazione della scienza attiene a un nodo chiamato “sottodeterminazione della teoria”: questi nostri discorsi sono possibili se (e solo se) sono concepibili diverse teorie in grado di descrivere lo stesso mondo o lo stesso insieme di fenomeni. Cioè se la teoria è sottodeterminata rispetto alla realtà. Per dirla in modo più brutale: se su qualche pianeta di qualche galassia lontana esistono esseri che hanno elaborato una matematica (un linguaggio logico) senza numeri, senza rette nè curve nè sfere ma che rappresenta però anch’essa il mondo nel senso galileiano (“la matematica è la lingua in cui è scritto l’universo”)». Di futuri ce n’è tanti e le matematiche sono ancora di più.

 

whoa!
siccome son idiota e il passaggio sul “tecno-vudù” mi ha acceso una lampadina, propongo questo indispensabile contributo www.youtube.com/watch?v=HXnfeojjJgc
poi da dickiano e asimoviano (in erba) mi sta venendo la voglia di metter le mani sul libro.

 
 

Anche io, lo devo leggere assolutamente! Mi sono stupita di non averne sentito parlare.

Nel mio tentativo di delineare le radici del movimento ecologista ho individuato proprio nella critica alla presunta neutralità della scienza un elemento importante nella nascita di un ecologismo di estrema sinistra. Un esempio importane è una rivista, “Medicina Democratica”, che nasce in seno ai consigli di fabbrica. Essa a partire dalla denuncia delle condizioni di salute dei lavoratori intraprende una riflessione sul radicamento sociale della medicina e quindi della scienza. Al suo interno si parla di un sapere scientifico ad uso del capitalismo e attraverso di essa si cerca di dimostrare come la scienza possa essere a servizio anche dei lavoratori.
Riflessioni simili sono state fatte da una famosa ecologista italiana, Laura Conti, iscritta al PCI e marxista nella prima fase della sua vita. Non ho mai letto le sue opere, ma lei inizia a scrivere proprio negli anni ‘70.
Infine, anche la rivista che io ho studiato nella mia tesi – Nuova ecologia – fa una critica alla neutralità della scienza. Si parla in quest’ultimo caso di qualche anno più tardi (N.E. nasce nel ‘78).
Ah, c’è anche “Sapere” di Maccacaro, a fare un lavoro simile a quello di Nuova Ecologia.

Tutto questi sono i pensieri che mi sono venuti così, a braccio.

QUello che voglio dire è che penso che queste riviste, e gli studiosi (spesso scienziati) che vi stanno dietro, certo non producono uno studio sistematico sulla sucessione dei paradigmi scientifici – come ha fatto Khun – ma è anche a prtire da esse che si sviluppa e diffonde una coscienza crtica verso lo scientismo.

 
 

D’altra parte però- inserendomi però su un punto che conosco meglio e rispondo al commento di elena-, anche questi momenti d’incontro conoscono dei limiti: ad esempio, è proprio l’esperienza di Medicina democratica a darci questo tipo di segnali.
Il forte contatto con il mondo operaio ha portato MD a non sapere ben come relazionarsi nei conflitti, esplosi soprattutto nell’arco degli anni Ottanta-Novanta fra lavoro e ambiente, ovvero sia quando la critica ambientale andava a cozzare con la necessità di mantenere posti di lavoro legati ad un certo tipo di produzione ed ad un certo tipo di sfruttamento dell’ambiente. Alludo qui ad un caso, del quale ho avuto maggiori notizie, di questo genere che è stato quello della Raffineria Api di Falconara: a fronte di uno ‘scontro’ fra cittadinanza e lavoratori della raffineria Medicina Democratica non seppe bene come posizionarsi.

Resta comunque un bel dibattito da studiare, perchè l’incontro fra queste due culture poteva essere ed è ricco di spunti.
Per arricchire comunque il mio contributo volevo dire che dovrei avere una copia di una doppia intervista fra Langer (sempre lui) e Ingrao proprio su queste tematiche. Ingrao era difatti uno dei più sensibili alla tematica ambientale all’interno del PCI

 
   

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