Domanda preliminare: “pacifismo retroattivo” nel senso di “parlare di guerra come una roba importante dopo che abbiamo visto quanto è sporca brutta e cattiva non è politically correct”?
Perché io credo che ci sia un po’ questa tendenza, almeno a livello di senso comune. Ed è vero che da un po’ di tempo in qua il fatto bellico in quanto tale è stato messo abbastanza da parte.
Intendiamoci, non del tutto a torto secondo me: leggendo il buon vecchio B. H. Liddell Hart o l’imponente Cartier sulla 2a guerra mondiale oggidì si resta un po’ insoddisfatti della ricostruzione “cronachistica” delle mere operazioni belliche, che è affascinante per carità ma forse un po’ fine a sé stesso.
La mia opinione su questo fatto è questa (personale e non esaustiva, eh!): oggi secondo me ha senso parlare di guerra calandola in un contesto più generale, sociale e culturale, quindi studiare la guerra “fatto” nell’ambito più generale della guerra “oggetto” (banale considerazione ok, ma meglio ribadire), mi spiego:
innanzitutto la guerra come forma di relazione umana; perché lo è e soprattutto lo è stata sempre: dai più era vista come una fatalità e una iattura, da molti come uno strumento, ma sempre connaturata alla natura umana (tant’è che il pacifismo si afferma dopo la prima guerra “moderna”, “industriale”, “inumana”: la Grande Guerra, le guerre del ’900!), e necessita assolutamente di essere studiata in questo senso (anche per non riproporla, secondo le sensibilità). Poi si, il discorso della reciproca conoscenza ha luogo e qui sottolineo solo come nella storia si ritrova sempre il doppio binario dei “nemici degni” verso cui vale un contegno scritto o meno e i “nemici indegni” verso cui efferatezze e sterminio sono concesse e anzi caldeggiate (a seconda dei momenti i pirati, i contadini, i “selvaggi”, i terroristi, ecc.).
In secondo luogo la guerra come occasionale “motore della storia”. Questa considerazione ha senso se si tiene presente che la guerra ha la caratteristica di essere un “catalizzatore non intelligente”, cioè gli effetti a cui dà luogo non nascono dal suo seno ma sono “accelerazioni” di processi già in atto o “reazioni” di elementi già presenti a cui il contesto bellico fornisce solo le condizioni ambientali estreme. Per questo studiare il fatto bellico si, se non gli si dà una caratura demiurgica a lui in quanto tale decontestualizzandolo. Quoto infine le ultime 4 righe del commento di Do-it, specie storia della tecnica.
P.s.: minchia che prolissità…perdonate!!!!