A proposito di Economia del dono; una buona mappa per approfondire.

L’economia del dono di Francesco Varanini

L’economia del dono
di Francesco Varanini
30 luglio 2001

Il tema è di grande portata, e merita certo ben maggiori approfondimenti. Però, nella logica delle Rete, ritengo sensato portare comunque alla luce riflessioni anche provvisorie e frammentarie. Qualcuno forse leggerà e mi comunicherà le sue riflessioni e le sue critiche e i suoi suggerimenti. Oppure trarrà semplicemente spunto per un proprio percorso di costruzione di conoscenza.

L’antica origine del termine ‘economia’ – ‘il governo della casa’– si mostra ancora del tutto attuale, specie se si ricorda che l’origine accomuna ‘economia’ (oikos, ‘casa’, ‘ambiente’; nomos, ‘ripartire’, ‘distribuire’) ed ‘ecologia’ (logos, ‘studio’, ‘trattazione’). Se l’economia, riduttivamente, può essere intesa come orientamento all’ottimizzazione (‘come usare al meglio le risorse’), l’ecologia ci ricorda che l’ottimizzazione è un’utopia, e che lo sviluppo è solo una fase temporanea. Il tema riproposto alla nostra attenzione dall’ecologia è il tema dell’equilibrio dei sistemi complessi. L’equilibrio sistemico: a ogni azione eccessiva, ad ogni forzatura ad ogni azione che rompe l’equilibrio –quegli atteggiamenti che la filosofica greca ci ha insegnato a chiamare hybris– corrisponde una nemesi, un effetto perverso.
Si parla, non a caso, di sistemi complessi. Gli attori –le imprese, le persone– si muovono in un contesto evolutivo: vanno e vengono, alternando adattamento e interazione. I comportamenti sono non-lineari: causa ed effetto non sono proporzionali; il tutto è più (o meno) della somma delle parti. Le proprietà significative sono ‘emergenti’: nascono dall’accumulazione di informazioni e di risorse, ma appaiono in larga misura imprevedibili nelle loro manifestazioni.

Per accrescere la nostra libertà di adattamento creativo, e in tal modo aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza, si dovrebbe riconsiderare completamente il problema dei mezzi materiali di sussistenza dell’uomo.

Karl Polanyi, La sussistenza dell’uomo

Eppure, per comodità e per abitudine, tendiamo a leggere il modello in termini semplificati. Valga il caso della ragione di scambio. Lo scambio economico è inteso come transazione legata ad un prezzo. Lo scambio, cioè, è sempre visto come ‘vendita’ o ‘acquisto’, e mai come dono. Il dono è letto come caso particolare di scambio, dove il corrispettivo in denaro a fronte della cessione del prodotto o del servizio è pari a zero.
Questa lettura, però, è evidentemente miope. Proietta su ogni azione economica ciò che è stato vero per una manciata di secoli, e che –ciò che più ci importa– tende ad essere sempre meno vero nell’economia di oggi.
Le economie –non del tutto scomparse– che ancora tendiamo a chiamare primitive erano in realtà regolate dal dono. Ed è un modello di grande saggezza e raffinatezza economica.
Il baratto, si dice, presuppone che l’individuo desideroso di procurarsi determinati beni in cambio di altri, trovi un individuo che nello stesso momento abbia un desiderio esattamente reciproco. Si sostiene perciò comunemente che la mediazione del denaro è di per sé vantaggiosa. La misurazione del valore di ogni bene o servizio in moneta rende possibile lo scambio in ogni momento ed in ogni situazione, anche in assenza di immediata reciprocità.

“È impossibile dire di una particolare variazione di prezzo se essa sorga dalle peculiarità della merce che viene misurata o da quelle della merce che viene presa come misura.”

Piero Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci

Nel considerare obsoleto il baratto, si dimentica che il contesto tecnologico garantisce oggi, comunque, una virtuale condizione di reciprocità. Le telecomunicazioni, le basi dati, la Rete, garantiscono –e garantiranno in misura sempre più completa– ad ognuno, in ogni momento, informazioni in merito ad ogni altro mosso da un desiderio esattamente reciproco. (I marketplace e le aste on line – e-Bay – sono manifestazione ancora parziale di questo assunto).

“Per accrescere la nostra libertà di adattamento creativo, e in tal modo aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza, si dovrebbe riconsiderare completamente il problema dei mezzi materiali di sussistenza dell’uomo.”

Karl Polanyi, La sussistenza dell’uomo

“Per passare da un confronto tra i mezzi (sotto forma di differenze di reddito) e qualcosa cui si possa attribuire un valore in sé (come il benessere o la libertà), dobbiamo tener conto delle variazioni che i tassi di conversione possono subire a seconda delle circostanze. Il presupposto che l’approccio basato sul confronto tra i redditi sia un modo più “pratico” di giungere alle differenze interpersonali dei vantaggi è difficilmente sostenibile."

Amartaya Sen, Development as Freedom

Le economie –non del tutto scomparse– che ancora tendiamo a chiamare primitive erano in realtà regolate dal dono. Ed è un modello di grande saggezza e raffinatezza economica.
La presenza del dono è un fiume carsico che solo in alcuni momenti della storia e dei modelli economici appare del tutto evidente. Eppure il dono è sempre presente, e in realtà ogni scambio economico è sempre parzialmente determinato da quella che potremmo chiamare economia del dono.
La politica della determinazione dei prezzi è influenzata dal dono: si pensi alle politiche di sconto. Lo sconto non è solo un parziale corrispettivo di economie di tempo e di spazio. È funzionale a un rapporto di fiducia, creato o da creare. Lo sconto è un caso particolare del dono. (E si pensi ad omaggi, concorsi a premi, campioni gratuiti, ecc.)
Dove il prezzo non riesce a fare la differenza, la differenza è fatta dall’aggiunta di dono. A parità di prezzo e di prestazioni del prodotto o servizio ceduto, prevale chi aggiunge dono.

Nonostante le nuove evidenze tecnologiche e di mercato, si tende però a ragionare in una logica di broadcasting (un nodo centrale, diverso dagli altri nodi, è necessario per il funzionamento della rete o del mercato). Mentre la Rete rende tendenzialmente obsoleto il ruolo dei mediatori (il giornalista nello scambio di informazioni) e degli strumenti di mediazione (la moneta), i mediatori, coloro che vivono di mediazioni, tendono a sostenere l’inevitabilità della mediazione.
La Rete è innanzitutto un luogo di socializzazione e di scambio peer to peer. La Rete è intelligenza diffusa. La Rete se ne frega dei confini dei mercati nazionali. Sulla Rete vince chi accetta un gioco misterioso, in apparenza strano: regalare innanzitutto.
Lo scambio non nasce, come oggi siamo forse portati a supporre, con la transazione monetaria (di cui l’e–commerce non è che l’ultima, banale incarnazione). Di questo, meglio di quanto fanno modernissimi guru e consulenti, ci parla un vecchio antropologo. Marcel Mauss nel _Saggio sul dono _ (1925) si interroga a proposito della fonte della coesione sociale nelle ‘società arcaiche’, quelle società che talvolta –giudicandole inferiori– chiamiamo ‘primitive’. Ci parla proprio di questo –ancestrale, fondante– comportamento. Donando, stimolo nell’altro un comportamento fondato sulla reciprocità. L’altro non è obbligato a contraccambiare da nessuna legge, o da nessun obbligo contrattuale. Ma il ‘contratto sociale’ è più forte della legge e di ogni altra forma di obbligazione. Se qualcuno mi offre un dono, in qualche modo dovrò ricambiare.
Potremmo dire che questa stessa circolarità –il dono, e l’obbligo di ricambiare– è la vera legge in base alla quale funziona il Word Wide Web. Con il Web, così come nei sistemi economici studiati da Mauss –citiamo le sue parole– le persone “sono costantemente connesse reciprocamente e sentono di doversi tutto”–.

Nella cosiddetta New Economy il dono tende ad occupare il luogo simbolico in altri contesti occupato dalla moneta. L’idea di dono – il bene o servizio ha un valore che tu puoi provare – sostituisce l’idea di moneta – il bene o servizio vale perché gli è riconosciuto un dato valore in moneta.
È probabilmente questa la caratteristica distintiva della New Economy: la prevalenza del dono, il valore fondante del dono. Gli esempi sono numerosi: Netscape, Linux, Star Office della Sun, in genere il free software e l’open source software.
Si pensi anche alla infinita massa di contenuti gratuiti disponibili sul Web. L’accumulazione di conoscenze funziona a partire dal fatto si hanno a disposizione tecnologie in grado di massimizzare i vantaggi e minimizzare i costi della condivisione di conoscenze. Per ogni soggetto è quindi conveniente mettere a disposizione informazioni: perché so che al mio gesto corrisponderà il gesto di altri, e quindi un vantaggio collettivo.
Le conoscenze accumulate, superata una certa soglia, si fertilizzano a vicenda e incrementano in modo non lineare il proprio valore: ciò che è un mio ‘scarto’ –e che ha uno scarso e non incrementabile valore nella logica dello scambio monetario– acquista valore nella logica del dono.
I Greatful Dead, a differenza di altri gruppi rock, scelsero consapevolmente di lasciare registrare i bootleg (copie senza diritti pagati) durante i loro concerti. Le registrazioni abusive danneggiano la compagnia discografica, e ne svalutano il ruolo, ma non necessariamente gli autori: questi, in virtù del loro gesto di disponibilità nei confronti dei fans –in ultima analisi un dono–vedono incrementato il loro credito, e quindi il loro valore. Potranno comunque vendere dischi attraverso la mediazione della casa discografica, ma anche marchandising ed altro. Avranno in ogni modo fidelizzato i loro ‘clienti’.
Il ‘prodotto estetico’ di Keith Haring è un segno facilmente imitabile. Ma non per questo privo di originalità. Keith Haring acqusitò fama e quindi anche valore di mercato in conseguenza della iper–diffusione dei suoi segni (spessissimo senza nessun ritorno per l’autore) su muri, magliette, oggetti, ecc. Keith Haring era in fondo malvisto da critici e galleristi e mercanti d’arte perché il valore della sua produzione aumentava a prescindere dalla loro mediazione. Più Keith Haring regalava disegni e apponeva gratis la propria firma, più il suo valore di mercato cresceva. Più ‘falsi’ Keith Haring circolavano, più cresceva il valore del ‘vero’ Keith Haring.

L’idea di dono permette di chiarire la confusa affermazione di chi teorizza (ad esempio Kevin Kelly) che nell’Economia della Rete, New Economy che dir si voglia, il valore di un bene è funzionale alla sua disponibilità, e non più alla sua scarsità. L’ampia disponibilità è frutto di un gesto fondato sul ‘non attaccamento’: se ciò di cui dispongo può essere comunque copiato o imitato, se non ho garanzie in ogni caso che si tratti veramente di qualcosa di nuovo o di diverso, tanto vale che io per primo lo metta a disposizione.
Chiusi nel vecchio schema di Economics che si fondano sull’esistenza di un prezzo, e sulla ricerca di un *‘margine’*di guadagno, si dice: se si dona, dove sta il ritorno?
Il fatto è che anche questo dobbiamo apprendere dalla economia del dono. Prevale l’attore che –attraverso il gesto di amicizia e di liberalità– ha conquistato i suoi clienti.
Secondo l’antica logica del prezzo i ragionamento dovrebbe proseguire in questo modo: l’attore così avrà in futuro l’opportunità di ‘vendere’ a questi clienti dietro corrispettivo. Avendo così il suo ritorno economico. In questa lettura, l’economia del dono è riportata alla luce, ma è ancora vista come un rinforzo od un supporto all’economia dello scambio dietro corrispettivo.
In realtà, sembra oggi possibile fare un ulteriore passaggio. L’economia del dono vale di per sé, perché il ritorno non sta nei beni che venderemo dietro corrispettivo ai clienti conquistati con il dono. Sta, più semplicemente, nel parco clienti acquisito. È il parco clienti ad aver di per sé valore economico. Siamo già ora più ricchi perché abbiamo questi clienti. Questa ricchezza può essere messa a bilancio, remunerata dagli investitori. Il valore non è dato dai beni che venderemo in futuro ai clienti, ma è funzione dei clienti stessi.
Se questo è difficile da comprendere nei termini dell’economia che fa dello scambio monetario il suo cardine, appare perfettamente chiaro alla luce dei fondamenti dell’economia del dono.
Il denaro è un mezzo, non è il fine. Non conta avere guadagnato se si ha un brutto rapporto con i propri clienti. Il potere sta nel consenso conquistato, nel peso strategico.
Quale logica economica sta dietro la scelta di Sun di offrire sul mercato StarOffice, una suite di prodotti di prestazioni comparabili a Microsoft Office, e che però a differenza di Office è offerta in dono?
Quanto vale Linux, che molti ‘clienti’ hanno accettato in dono, ma che non ha conto economico, perché non può essere né comprato né venduto? Nessuno oserebbe dire che non vale nulla. Ma in realtà non sappiamo come misurarne il valore. Perché siamo abituati a misurare solo il valore di ciò che si compra e si vende.

Misurare il valore attraverso il denaro è facile. Anche per questo la convenzione è dura a morire.

Dovremmo però abituarci all’idea di cambiare convenzione.

   

www.huffingtonpost.it/2013/10/11/il-don...=italy