Gli alberi? Sono cose.

Luciano Corso da veramente.org

articolo originale da veramente.org

Molti credono che le piante, in genere, siano prive di anima. L’idea che le piante non soffrano è antica e legata al fatto che, nell’opinione comune, per soffrire occorre avere un sistema nervoso centrale e una coscienza. Peraltro, le piante non parlano, né esprimono opinioni preventive sullo stato del mondo che le circonda e sul comportamento degli uomini.

Al regno vegetale si è attribuita una scarsa capacità di percepire il mondo. Le opinioni più diffuse, sostenute anche dalle più importanti religioni, hanno un orientamento negativo verso la vita di ogni essenza vegetale. L’uomo usa anche oggi la locuzione «stato vegetativo» per indicare un’assenza di relazioni di un soggetto con altri esseri viventi. In queste considerazioni si trova la ragione dell’atteggiamento totalmente sbagliato della nostra società nei confronti delle specie biologiche appartenenti al regno delle piante.

I luoghi comuni dominano e, anche se si conosce ora che meno si tocca una pianta sana, meglio essa sta, si continuano a praticare potature, capitozzature ingiustificate, il più delle volte dannose per la salute futura delle piante.

I più recenti studi di neurobiologia vegetale hanno dimostrato, e stanno sempre più scoprendo, che le piante sono tutt’altro che in uno «stato vegetativo». Esse si muovono, decidono, capiscono, vedono, sentono, sono sensibili al tatto e comunicano e (ma guarda un po’!) soffrono. L’interpretazione di questi termini deve essere fatta oculatamente. Ancora si sta studiando la questione, ma è fuor di dubbio che esse hanno una buona percezione del territorio in cui stanno e sono in interrelazione con gli oggetti inanimati e animati del circondario. Le piante sono, insomma, in corrispondenza stretta con il mondo che le circonda. Sono scoperte che ancora si fa fatica a comprendere compiutamente, ma che impongono un nuovo modo di convivere con loro. Il fatto che si faccia fatica a capire questa loro dinamica vitalità dipende da un’importante caratteristica evolutiva di ogni essenza vegetale: l’essere priva di sistemi di controllo gerarchici e centralizzati (si veda S. Mancuso, A. Viola, Verde brillante, Giunti editore, 2013, Milano). Le piante mancano di un sistema nervoso centralizzato, di un cervello localizzato, di organi interni con una localizzazione ben definita (fegato, cuore, reni, ecc.). Mancano, cioè, di tutto ciò che contraddistingue ogni individuo appartenente al regno animale. Tuttavia alle piante questi organi non sono assenti; essi sono semplicemente diffusi su tutto il corpo della pianta. Per questo le piante riescono a cicatrizzare ferite anche gravi senza morire (negli animali ciò non è possibile).

È noto che, senza piante, tutti gli animali e l’uomo in testa non potrebbero sopravvivere per più di un mese sulla terra. Non ci vuole una grande mente per capirlo.
Le piante svolgono fondamentali funzioni quali:

1) produrre ossigeno attraverso il processo biochimico della fotosintesi clorofilliana;
2) regolare e stabilizzare la temperatura del suolo e degli strati bassi dell’atmosfera durante l’arco dell’anno (ombra e fresco d’estate, protezione dal vento freddo d’inverno);
3) agire da veri e propri catalizzatori verso sostanze tossiche per l’uomo;
4) essere filtri che catturano le particelle e le polveri tossiche trasportate dall’aria, migliorandone la qualità;
5) consolidare e trattenere il terreno con le loro radici, evitando che si verifichino smottamenti, frane, ruscellamenti in caso di piogge persistenti;
6) Trattenere l’acqua durante le piogge, bilanciandone i flussi ed evitando scorrimenti pericolosi a volte distruttivi.
7) Essere casa comune di molte specie biologiche, favorendo così la biodiversità.

Nonostante queste importanti funzioni, le piante sono maltrattate da molti.
In Italia, patria delle contraddizioni, le leggi di tutela confliggono con norme o interpretazioni di leggi che favoriscono il loro abbattimento. A fronte della legge n. 14 gennaio 2013, n. 10, Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani (13G00031) (GU n.27 del 1.2.2013) vigente al: 1.2.2013 (che tutela le piante), qualche anno fa una delibera della Corte di Cassazione ha decretato che le piante sulle strade o prospicenti a strade e a luoghi pubblici, quando sono pericolose, vanno abbattute; altrimenti la responsabilità di eventuali danni da loro provocati per caduta di rami o delle piante stesse sono a carico dei proprietari del suolo in cui sono le piante. Potete ben immaginare che significa, politicamente, questa disposizione della Corte di Cassazione: sindaci, amministratori pubblici e proprietari di suoli in cui giacciono alberi, pur di non incorrere in grane con la giustizia, hanno pensato di rendere le piante meno pericolose o tagliandole o potandole pesantemente, rendendole così monconi simili a colonne. Facendo subire alla pianta un intervento di potatura, si può dimostrare di “aver avuto cura” della pianta e quindi non avere colpa se la pianta dovesse in seguito cadere per cause naturali.

La pianta è stata “curata” e la giustizia non può più accusare i proprietari dei suoli di essere colpevoli d’incuria. Le operazioni di potatura, però, danneggiano le piante che, soprattutto se l’intervento è stato fatto da mani inesperte, spesso proprio a causa di questi interventi, si ammalano e muoiono diventando pericolose. Ricordo che una trentina d’anni fa il cancro colorato del platano si diffuse tra i nostri platani a causa delle potature e della capitozzature fatte con strumenti infetti.

La Giustizia Italiana è curiosa e i giudici – si può dire? – sono ignoranti, scientificamente; per questo emanano norme e interpretazioni delle leggi vigenti sempre in modo ambiguo e spesso soggette a processo. Che significa la locuzione “quando sono pericolose”? Forse qualcuno può vivere senza poter essere pericoloso per qualcun altro? Qualcuno può sapere se una pianta è o non è pericolosa prima che si verifichi un evento dannoso? Se la pianta è danneggiata, forse sì; ma se è in buono stato vegetativo come si può pensare che possa cadere e far male a qualcuno o semplicemente danneggiarlo dopo un evento atmosferico consistente? Ogni pianta, per quanto bella, sana, forte, può cadere per una calamità naturale (soprattutto oggi che si è asfaltato e cementato ovunque, rendendo asfittiche le radici). Dei danni che procurerà dovrà essere responsabile il proprietario del suolo in cui l’albero è situato? Abbattiamo così tutte le piante delle nostre strade, dei nostri incroci, dei nostri giardini? Se i giudici avessero un po’ di scuola matematica forse capirebbero l’assurdità di interpretazioni simili che inducono alla distruzione totale di tutto ciò che potenzialmente è pericoloso. Se il principio della pericolosità diventa determinante, allora dovremmo eliminare immediatamente, automobili con gli automobilisti, carceri con i carcerati, e così via.

L’idea vincente e non nuova, anche se poco nota, è che si debba convivere con i pericoli se questo modo di essere migliora complessivamente la qualità della vita degli uomini e rispetta la biodiversità del territorio. Da questo punto di vista le piante si salverebbero tutte, non subirebbero manomissioni e il territorio sarebbe ricco di vegetazione, con un’aria tersa, con più ombra d’estate e con meno gelo d’inverno

 

Era malato da tempo, e quest’anno è morto un vecchio rovere di almeno settant’anni a causa del Cossus Cossus, meglio noto come Rodilegno Rosso, temibile “falena” le cui larve sono parassiti del legno. In questi giorni lo abbiamo abbattuto e lo stiamo riducendo a legna da ardere per poterci riscaldare un’altro inverno. A colpo d’occhio la campagna non è più la stessa senza quel grande albero, sebbene ce ne siano tanti altri sparsi per la proprietà. Se avessimo dovuto dar bada ai vicini non ce ne sarebbe rimasto neanche uno: gli alberi fanno ombra e tolgono nutrimento alle colture agricole. Forse è vero, ma non sarà quel quintale d’uva malpagata che ci renderà ricchi. Il valore di un paesaggio integro, la biodiversità che ne deriva, lo stupore che suscita nei turisti un ambiente vario e conservato, ma anche il fatto che da vent’anni ci riscaldiamo grazie ad energie rinnovabili…beh, questo sì che è stato lungimirante.

 
   

Se non lo sapevate, a Colà abbiamo un “patriarca”, il vechio Moraròn di villa da Sacco.
www.larena.it/galleries/Foto/fotodelgio...