La città diffusa è come un cancro che divora inesorabilmente tutto il territorio di una determinata area geografica. Strade, case, infrastrutture, capannoni industriali, servizi, centri commerciali si diffondono sempre più numerosi e crescono come funghi velenosi nelle campagne, sulle pendici dei monti, ai bordi delle vie di comunicazione, sulle coste dei mari e dei laghi.
Molti lo chiamano “sviluppo”, soprattutto i politici e gli affaristi locali, ma agli occhi di un osservatore attento appare difficile poterlo definire come tale dal momento che in esso non si riesce ad intuire, nemmeno con la più acuta fantasia, un algoritmo che lo regoli nel profondo. È pura confusione, puro rumore di fondo senza un minimo di armonia.
Certo è che una tale (non) pianificazione territoriale non garantisce uno sviluppo durevole dal momento che per poter funzionare ha bisogno di enormi quantità di energia per gli spostamenti e frammenta, come nello scoppio di una bomba, il tessuto urbano e sociale in mille parti, spesso disunite e difficili da gestire con equilibrio.
La natura, ad osservarla bene invece, ci insegnerebbe l’esatto contrario e gli animali sociali (come l’Homo urbanus, versione moderna dell’Homo sapiens) che in essa vivono, per poter raggiungere la massima efficienza energetica e la massima collaborazione reciproca, dovrebbero vivere in ambienti “concentrati” pur migrando, anche lontano, alla ricerca di risorse. Ecosistemi che noi dovremmo iniziare a studiare approfonditamente e a copiare nell’organizzare le nostre città, le nostre vite e le nostre relazioni.
L’unica soluzione al baratro rappresentato dalla città diffusa è quella, da un lato, di partecipare alla vita sociale e di esercitare un’azione di controllo sulla sfera politica ed economica nonché, dall’altro, di esigere (attraverso il voto e il consenso) che la politica inizi a porsi seriamente delle domande su che cosa sia importante al di là della dimensione presente e inizi a mettere sul tavolo (della legge) regole certe di tutela del territorio e di efficienza urbana che consentano di sperare anche in un futuro più durevolmente prospero.
Temo che quello che ora percepiamo potrebbe essere solo benessere apparente e temporaneo che in questi ultimi anni si sta affievolendo e che presto, forse troppo presto e troppo velocemente, potrebbe anche finire!