I tempi dello studio

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  1. I tempi dello studio
    I tempi dello studio sono i momenti più felici che uno studente possa vivere, sono momenti in cui si costruisce un pensiero (magari critico) su un determinato argomento, e nell’ideale dell’università, quest’argomento è quello che abbiamo scelto consapevolmente e liberamente e che sposa i nostri interessi speculativi. Se, vabbè…
    I tempi dello studio sono in realtà quelli calati tra un lavoretto, magari le ripetizioni, e una birra tra amici, tra una lezione in un’aula strettissima e la ricerca di una lavagna libera al 5 piano, sono quelli in cui si fa amicizia in questo dipartimento e si finisce per scoprire quali sono gli interessi perversi del tale professore e di cosa vuol sentirsi dire per prendere la lode.
    I tempi dello studio sono quelli in cui si cerca di dar più esami possibili, cercando di non prender voti pessimi, e di laurearsi in tempo.
    I tempi di studio sono allo stesso modo quelli pattuiti nell’algoritmo di laurea, che dev’essere decifrato e che assegna un tot di bonus a chi si laurea in tempo, dove il tempo e a sua volta quello deciso dalla laurea 3+2 del processo di Bologna.
    Sono quelli contati nei crediti, i CFU, un’idea meravigliosa, che permette di spacchettare il tuo percorso di studio in moduli da pratiche 48 ore di studio individuale, meno di un caffe al giorno. I CFU che pretendono di dirti quante ore devi studiare per questo o quell’esame e se ne fregano di cosa hai imparato durante lo studio.
    I tempi di studio, sono quelli che ci fanno rinunciare a tutto ciò che non è necessario per prendere la laurea e che non sia abbastanza divertente da essere considerato un disimpegno.
    Parlare dei tempi di studio vuol dire puntare la torcia della critica su quale modello di sapere ci viene proposto in questo dipartimento e nell’istruzione in generale, e di come la quantificazione di quest’attività ha ridotto gli spazi per tutto ciò che non è quantificabile, come la critica e la consapevolezza della propria conoscenza.
    Per capirci bisogna fare un esmpi che trascende dall’università e che finisce nella scuola primaria, dove i test degli Invalsi, da ormai 4 anni, impediscono ai docenti di costruire il programma annuale autonomamente e piuttosto li obbliga a prepare gli alunni alle domande concettuali che il test unificato di fine anno gli proporrà. Un test che non valuta le conoscenze, ma le competenze! Quello che siamo capaci di dimostrare di saper fare, “Nothings, but facts” come direbbe l’insegnante di Hard Times.
    Quindi ecco che i tempi di studio si rivelano estremamente connessi con l’idea di competenza, ecco che allora si spalanca la porta del grande idolo dei nostri tempi, il MERITO
  1. Il merito
    Cos’è il merito? Anziche stare a dire cosa è il merito per noi dell’Officina, vorrei raccontarvi qualche caso reale per dare l’idea di cosa è il merito per le istituzioni:
    Il merito del’università e del Laziodisu
    Quando facevo il primo anno chiesi di ricevere la borsa per il merito perché ero andato bene, andai in segreteria e chiesi quali erano le griglie. loro mi spiegarono che bisognava avere anche la lode del liceo e che io sta borsa non la meritavo! Quando sbigottito chiesi informazioni del perché contassero i voti del liceo per avere la borsa all’università mi spiegarono che loro avevano un tot di soldi, e sapevano quante persone potevano riceverli, e in questo schema costruivano le griglie sapendo già quanti l’avrebbero ricevuta.
    Lo stesso merito è quello che ogni anno nega la borsa Laziodisu a centinaia di studenti idonei ma non vincitori, ovvero non abbastanza poveri da finire nella parte alta delle griglie, e che magari per avere una casa dello studente a Roma, che non potrebbero permettersi altrimenti finiscono a Torre Maura o a Roma Nord.
    Mentre invece la scuola d’eccellenza SASS vede ogni anno i suoi fondi aumentare, senza però riuscire ad avere qualche effetto di trascinamento e miglioramento sul resto della popolazione universitaria.
    Il merito è lo stesso che in altri stati del mondo crea corsie preferenziali di accesso al mondo del lavoro, che distingue gli studenti francesi in Ecole Superior e Università semplice, che ha certamente il merito di riprodurre la classe economica dirigente.
    Ma mettiamo per un momento da parte l’astio di classe e cerchiamo di capire qual’è la filosofia del merito.
    Per parlare di questo abbiamo invitato in occasione di Mtg una professoressa di filosofia di Napoli e parlando con lei ci siamo convinti che il merito è lo strumento che la cultura dominante utilizza per imporre la sua lettura della realtà, i valori che vengono premiati sono assolutamente arbitrari, e in particolare quello che viene premiato oggi è la competizione e la competenza.
    La competizione come metodo, come continuo confronto con gli altri attraverso griglie e punteggi e la competenza come base di valutazione.
    La competenza come valore sostitutivo alla conoscenza, come valore spendibile in qualche mercato-nicchia e facilmente misurabile attraverso test nozionistici.
    Per concludere questa breve parentesi dobbiamo infine sottolineare questo aspetto:
    non vi è merito senza valutazione, ma quali sono i canoni di valutazione dell’università? sono davvero equi e sanno davvero distinguere un buono studente che ha compreso e ha riflettuto in maniera critica sui contenuti dei corsi piuttosto che chi si è preparato alacremente per superare l’esame senza però guardare alla complessità della ricerca e senza mai farsi domande sull’etica o sul senso del suo percorso? Ma è questo che vogliono valutare o appunto si limitano a misurare le nostre capacità di rispondere alle esigenze del mercato?
    E quali sono le esigenze del mercato della ricerca?