Garibaldi ... work in progress

Lavorazione del contributo per la seconda uscita: Garibaldi, l'invenzione dell'eroe

L’_incipit_ di questo contributo viene da due lezioni seguite all’interno del corso “Racconto storico”, dedicate al Panorama "Garibaldi".
L’analisi del Panorama mirava ad introdurre da una parte questa specifica forma di narrazione storica, dall’altra la creazione della figura eroica di Garibaldi.
Il Panorama fu un espediente narrativo molto in voga nell’Europa del primo Ottocento e consisteva nella pittura di enormi rotoli con raffigurazioni delle più varie: dai panorami (appunto), alla storia classica, fino alla rappresentazione di grandi episodi dell’attualità.
Queste grandi scenografie, trasportate in lungo e largo per l’Europa, venivano montate su appositi supporti lignei a forma circolare: al momento della messa in scena, degli attendenti si preoccupavano di srotolare lentamente il rotolo, il cui sviluppo in moto veniva seguito dall’uditorio. Il passo della scena veniva scandito dal libretto che, letto da un narratore fuori campo, illustrava al pubblico la trama del Panorama.
I Panorami attualmente conservati sono pochissimi fra questi, però, c’è un esemplare inglese del 1861, attualmente conservato presso la biblioteca della Brown University, che raffigura la vita di Giuseppe Garibaldi.

Il soggetto stesso e le modalità della sua rappresentazione iconografica, introducono il vivo interesse del pubblico inglese per l’eroe dei due mondi.

Da qui è partita una riflessione sugli schemi che hanno fissato l’eroe nizzardo nell’immaginario collettivo (immaginario che non si limita ai confini nazionali!)

L’idea non è quella di confrontare i canoni del mito e la biografia puntuale del generale, onde stabilire il grado di distanza della prima dalla seconda, quanto di limitarsi a descrivere la genesi di questo eroe, formatasi fra le righe della letteratura romantica.

Per farlo, mi baserò in primo luogo sul testo consigliato dal docente: Garibaldi, l’invenzione di un eroe di Lucy Riall.

Congiuntamente alla lettura di questo testo-guida, ho pensato che una qualsiasi indagine sulla creazione dell’eroe romantico non poteva prescindere il Garibaldi di Alexandre Dumas, un memoir collettivo che ci regala un Giuseppe Garibaldi rivoluzionario gentile, nostalgico quanto un Dantés.

Il secondo pensiero è andato ad un testo che avevo già letto e ricordavo contenere accenni all’impresa garibaldina del 1849: le corrispondenze di Margaret Fuller che consacrarono al pubblico d’oltreceano un condottiero romantico e nostalgico, con i suoi impavidi ed aitanti soldati stagliati come divi contro i tramonti romani.

Grazie all’indirizzo della bibliografia e fonti citate dalla Riall sto quindi cominciando a prendere in esame altri resoconti contestuali di giornalisti ed osservatori francesi ed anglo-sassoni.

Ho proseguito l’indagine su Garibaldi prendendo in esame il testo di Lucy Riall sopra citato. Pieno di spunti di riflessione e soprattutto corredato di fonti sapientemente analizzate, ho riempito il testo di post-it e rimandi che è mia intenzione utilizzare per creare lo scheletro del lavoro.

In sintesi, il lavoro della Riall propone un ampio panorama dell’immagine pubblica di Garibaldi, analizzando le caratteristiche visive e quelle morali di un personaggio da “romanzo d’appendice”. La sua analisi prende in esame romanzi più o meno noti italiani, francesi, inglesi e nord americani; litografie ed altre fonti visuali di vario genere (dai ritratti ufficiali alle vignette caricaturali) l’attività pubblicistica di Garibaldi (le sue corrispondenze pubbliche degli anni ‘60-70) ed ovviamente molte testimonianze tratte dai maggiori giornali dell’epoca.

Un punto che non mi sento di condividere è la convinzione a mio parere troppo forte dell’azione manipolativa da parte dei “politici di professione”: Mazzini prima e Cavour poi. Da alcune osservazioni della Riall sembra infatti che il mito Garibaldi sia stato montato ad hoc da Mazzini per far leva sul popolo e che in seguito i piemontesi abbiano pensato di sfruttarlo per far presa sulle amsse del sud Italia.
Francamente mi sembra una tesi un po’ forte, e sarei più propensa a riconoscere sì un ruolo attivo alla politica nel periodo commemorativo successivo alla morte del “Dittatore”, ma piuttosto a definire questo boom mediatico come frutto delle congiunture storico-culturali: l’emergenza dei nuovi media.

Sulla base della Riall ho iniziato a scrivere scrivere scrivere, un testo che allego a questo wiki di lavorazione.
Ovviamnete, a leggerlo ora, sembrerà una sorta di plagio camuffato perchè per andare avanti mi sono riportata in un file word tutte le citazioni ed elementi del testo che volevo riportare, collegandole in maniera coerente.
Da questo primo lavoro, però, procederò aggiungendo amno mano gli altri testi da prendere in esame e poi facendo un lavoro di limaggio di quanto steso..

Adesso scusatemi ma passa la Madonna di San Luca

 

Non so se possa essere d’aiuto, e magari lo sai già, ma m’è venuto in mente che evidentemente i resoconti della Fuller erano stati veramente d’impatto. Nel bel mezzo della guerra civile americana (1861-65) accadono un po’ di fatti “strani”:
- nel 1862, se non erro, il presidente Lincoln chiese a Garibaldi di andare negli States del nord a comandare l’armata del Potomac (la più grande compagine armata unionista); vero è che fino a quel momento i generali unionisti avevano dato scarse prove di bravura, ma appunto ci doveva essere parecchio hype attorno al Nostro perché succedesse una cosa del genere.
- nell’esercito confederato (“sudista”) militavano parecchi ex garibaldini, tra i quali il maggiore Roberdeau Wheat, che combatteva con la camicia rossa indosso; più in generale c’erano parecchie unità militari e personaggi che si ispiravano dichiaratamente a Garibaldi e ai garibaldini.
- non c’entra con Garibaldi, ma col discorso dell’europa ottocentesca come fucina di miti: sempre nella guerra civile americana c’erano (sia tra i nordisti che tra i sudisti) interi reggimenti di “zuavi”; ora, i veri zuavi erano truppe speciali francesi, in origine coloniali, che indossavano i famosi pantaloni a sbuffo rossi mutuati dai loro avversari nordafricani; insomma, non c’era un motivo al mondo di creare reggimenti di “zuavi” in america, se non che questi erano diventati “celebri” appunto durante la seconda guerra d’indipendenza italiana che oltreoceano era stata seguita con partecipazione, quasi quanto l’impresa garibaldina.

(informazioni tratte, nel caso le utilizzi, da: R. Luraghi, Storia della guerra civile americana, Einaudi, Torino 1966)

 
 

Ragazzi, ho riguardato brevemente l’articolo, in realtà avrei voluto addirittura aggiungere dell cose (perché così mi sembra semplifichi molto), ma mi sono resa conto che esulerei dai limiti di spazio che ci siamo imposti (già così il testo è di 12 pagine)

Io lo sottopongo alla vostra attenzione, di chi si sottoporrà all’ardua prova di redigere le bozze!!

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