Si è appena conclusa l’assemblea annuale dell’Associazione Rurale Italiana tenutasi quest’anno nel comune
piemontese di Monastero di Bormida nella langa astigiana.
A fare gli onori di casa è stato Fabrizio Garbarino, ad un anno esatto dalla sua elezione a presidente di ARI, che
chiosa: “non saremo contadini da comodino, ma forza propulsiva per l’agricoltura contadina”.
Tantissimi i temi trattati dai numerosi membri dell’associazione provenienti da tutta Italia, a dimostrazione della
vocazione sindacale di ARI che da sempre si pone in maniera critica nei confronti di un sistema produttivo e
distributivo di tipo industriale, rapace e conformista,
i cui limiti sono numericamente sotto gli occhi di tutti.
Tocca all’esperto in statistica Antonio Onorati, presidente del Centro Internazionale Crocevia e membro del
Comitato Internazionale Sovranità Alimentare, descrivere un quadro di crescente e già palpabile impoverimento
delle famiglie e del Paese, i cui consumi ai ritmi attuali stanno tornando ai livelli della seconda metà degli anni
‘80, con la sola differenza che in quegli anni la popolazione Italiana era il 10% in meno di adesso. I prezzi al
consumo dei prodotti alimentari tra il 2005 ed il 2012 sono aumentati del 20% ,che non corrispondono ad un
conseguente aumento delle rendite agrarie, soggette a loro volta ad un generale aumento dei costi di produzione.
La questione aperta consiste nel sapere chi ha incassato la quota rilevante di questo 20%.
Mentre le commodities agricole che conquistano il mercato mondiale rappresentano tra il 5 e il 7% del totale
della produzione, le politiche nazionali sono modellate su di esse e questo marginalizza la piccola produzione
agricola che ancora oggi assicura il pane quotidiano a oltre due miliardi di persone" (Olivier de Schutter,
Relatore ONU per il diritto al cibo).
Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2014 Anno Internazionale dell’Agricoltura Famigliare, che in Italia conta
circa 1 milione di contadine e contadini. Le aziende agricole con meno di una unità lavorativa sono l’84% del
totale, a cui spesso si stringe tutta la famiglia che collabora in maniera solidale svolgendo un ruolo di grande
ammortizzatore sociale. Queste aziende però, seppur piccole ed apparentemente insignificanti pagano quasi la
metà dei contributi sociali, e rappresentano l’ossatura del sistema, anche se producono solo il 30% del totale della
produzione.
Nonostante tutto queste aziende familiari dimostrano di aver trovato delle soluzioni per resistere alla crisi, e che
per loro natura rappresentano un esempio forte di come dovrebbe tornare ad essere il “sistema paese”.
L’organizzazione del mercato determina i modi di produzione e gli standard della Grande Distribuzione
Organizzata (i supermercati) che impongono delle pratiche agricole insostenibili per le aziende e per l’ambiente,
ma anche per la salute e gli stili di vita delle società intere.
La Politica Agricola Comunitaria (PAC) ha incentivato con soldi pubblici (il 40% del budget dell’intera UE)
questo modello globale di Agricoltura Mineraria, intensiva di capitali, imput produttivi, ad altissimo livello di
consumi di energie fossili (es. 28 kcal fossili per 1 kcal di carne), d’acqua, la dittatura della tecno-scienza (sementi
OGM), meccanizzazione e chimica che sostituiscono il lavoro umano. Con la nuova PAC 2014/2020 cambia poco
o nulla: (dati 2011), lo 0,29% delle aziende prendono il 18% del totale dei premi PAC cioè oltre 735 milioni, lo
0,0001 % prende il 6% cioè 150 aziende incassano oltre 238 milioni di € pari ad una media di 1.589.000€ ad
azienda, mentre il 93,7% delle aziende prende il 39,5% dei premi cioè 1.170.000 aziende si dividono la cifra totale
di 1,630 miliardi € pari a una media aziendale di poco superiore ai 1.000 € circa.
Questi sistemi di mercato sono in tutta evidenza inappropriati all’azienda agricola familiare e contadina che
necessita di strumenti e politiche pubbliche specifiche e differenziate.
Attenzione però, perchè in vista di EXPO 2015 c’è già in atto un tentativo d’appropriazione indebita del valore
aggiunto dell’agricoltura contadina da parte di interlocutori istituzionali privilegiati come il movimento Slow
Food, o peggio il progetto FICO (acronimo di Fabbrica Italiana Contadina%EF%86%81h]) la nuova creatura dell’imprenditore
“Renziano” Oscar Farinetti, che a Bologna farà nascere una Disneyland del cibo con 40 ristoranti, stalle, orti,
grocery, e chissà quale altra diavoleria.
Tutti questi progetti faraonici hanno poco o niente a che fare con la realtà rurale fin qui descritta, e sono forse
l’ultimo disperato tentativo di accaparramento di un bene comune che è la cultura contadina, che si vuole vendere
come un brand di lusso, truccando con photoshop un’immagine ormai sbiadita di un passato agricolo ricco di
tradizioni, povero di finanze, ineguagliabile per la dignità con cui resiste autonomamente alla crisi.
Forse manca la consapevolezza che le famiglie contadine contano 1 milione d’Italiane ed Italiani, a cui si
aggiungono 2,5 milioni di Hobby Farmers o contadini della domenica (fonte Nomisma), a cui si sommano 500
mila addetti alla trasformazione dei prodotti agricoli, e se ci fermassimo quelle buone forchette di Slow Food,
Eataly , Fico, non avrebbero più nulla da vendere.
Siamo alla vigilia di una battaglia finale sull’agricoltura contadina, le cui sigle di associazioni e movimenti
davvero sindacali (non le società di servizi quali sono diventate Coldiretti, Cia, Confagricoltura…) da anni offrono
una proposta concreta e condivisa per una legge quadro nelle apposite sedi istituzionali, e non ai caselli
autostradali e nelle piazze.