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Chi siamo cosa facciamo dove andiamo.¶
Siamo studenti e studentesse di fisica e sentiamo l’esigenza rapportarci alla scienza in modo critico uscendo dal paradigma didattico che ci viene proposto quotidianamente dall’istituzione universitaria. Ciò che abbiamo intenzione di fare è una “passeggiata” in quello che, tra le mura del nostro dipartimento, può essere definito il “mondo di fuori”. Vogliamo attraversare questa invisibile ma onnipresente barriera che separa la scienza vista come tentativo di spiegare in modo rigoroso i fenomeni naturali dalla scienza vista come attività umana che si cala ed interconnette con le altre attività umane all’interno della società.
Ed è proprio nel compiere questo piccolo salto che il percorso Mind The Gap prende vita nella primavera del 2015.
Quali sono i fattori che maggiormente influenzano la direzione della ricerca scientifica?
E in che modo questa arriva a rispondere alle esigenze della collettività?
Qual è la responsabilità dello scienziato nella società rispetto alle applicazioni delle scoperte scientifiche?
Ecco i primi interrogativi che ci siamo posti e, vista la totale assenza di stimoli da parte della didattica curricolare nel trattare questi argomenti, abbiamo deciso di rendere pubblico il percorso attraverso una serie di incontri di formazione. Tante sono state le chiacchierate e molto variegato il campionamento dei nostri interlocutori : dal professore ordinario di filosofia al dottorando fresco di assegno, dallo storico della fisica in pensione al docente precario oberato di impegni.
Durante il mese di giugno, Mind The Gap ha preso la forma di un festival le cui parole d’ordine sono state “condivisione del sapere” e “interdisciplinarità”. In piena sessione d’esame, una due giorni di musica, teatro e dibattiti ha animato il nostro dipartimento offrendo a tutti e in modo libero una situazione di approfondimento e socialità che, secondo chi scrive, dovrebbe essere alla base dell’idea stessa di università.
Data la crescita collettiva maturata lo scorso anno, abbiamo deciso di rilanciare con Mind The Gap 2016. Le domande sono altre ma lo spirito critico col quale vengono approcciate è rimasto lo stesso. Il presente documento è il primo frutto di quest’anno, speriamo che il lettore possa giovarne e, perchè no, decidere di contribuire al percorso durante i prossimi mesi.
Introduzione.¶
All’interno del nostro percorso di approfondimento sul rapporto reciproco fra scienza e società uno dei primi temi che abbiamo scelto di affrontare è quello relativo al funzionamento del sistema delle pubblicazioni scientifiche.\\
Questo tentativo di analisi ed inchiesta potrebbe sembrare troppo \textit{particolare} come punto di partenza, ma in realtà permette di mettere in luce tutta una serie di questioni e contraddizioni che sono fondamentali per il modo in cui la scienza viene insegnata, prodotta e percepita nel mondo contemporaneo. \\
Il modo in cui vengono pubblicati e quindi redatti gli articoli scientifici, di fatto, tocca direttamente la questione dell’\textit{accesso al sapere}, sotto almeno due punti di vista connessi fra loro: da un lato si pone il tema della gratuità e dell’accessibilità degli argomenti e dei risultati delle ricerche ad un pubblico di specialisti e non; dall’altro, ribaltando il punto di osservazione, diventa interessante capire \textit{chi} può produrre scienza, \textit{quanto costa} farlo, e come la struttura economica e sociale, data in questo caso dalle varie riviste, influenzi il modo in cui il singolo scienziato lavora ed espone i suoi risultati. \\
Dare dei punti di partenza fermi su temi tanto vasti può essere complesso, e tuttavia è fondamentale per produrre analisi comprensibili: in questo caso ci limitiamo a far notare che tutto il problema in questione si riconduce al discorso più generale della \textit{valutazione della scienza}.
Storicamente è sempre esistita la necessità di discriminare fra cosa è scienza e cosa non lo è; si potrebbero citare migliaia di contributi di scienziati e filosofi in questo senso, ma basta, su tutti, pensare al significato stesso dell’ elaborazione di un \textit{"metodo scientifico"} e al peso che questo ha avuto nel corso dei secoli. Ovviamente il sistema delle pubblicazioni e la loro importanza relativa, data essenzialmente dal peso di una rivista e da altri fattori che saranno esposti nel seguito, assolve proprio a questa funzione: discriminare se un lavoro, un risultato, un modello è scienza oppure no, e non solo, ma anche in un certo senso determinare \textit{quanto} lo sia. \\
Il passo di analisi successivo corrisponde al comprendere quanto questo sistema sia costruito su criteri interni alla scienza stessa, ovvero, di significatività nel percorso di comprensione della natura; o quanto invece vi sia un influenza di fattori esterni, economici e sociali. Questo rapporto, che poi è proprio il punto da cui siamo partiti per il nostro percorso, ci sembra il nodo fondamentale, l’elemento di contraddizione da investigare per comprendere al meglio il problema. \\
Non bisogna dimenticare, nel merito, che è solo fra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che la scienza si inserisce a tutti gli effetti all’interno del sistema produttivo, passando dall’essere un’attività sostanzialmente speculativa, portata avanti quasi solo da nobili disinteressati a ricavarne un guadagno economico, a un vero e proprio lavoro retribuito, con la conseguenza di gravare come voce di spesa sulle tasche della collettività e di dover essere allo stesso tempo \textit{messa a valore} dalla stessa. \\
E’ bene anche precisare che per noi questo aspetto è necessario e auspicabile; Ma, in determinati contesti, può manifestarsi in una forma contraddittoria: il problema diventa quindi cosa s’intende come \textit{valore della ricerca scientifica}, quale ricerca \textit{"merita"} il suo costo sulla società. \\
Date queste premesse di carattere generali andremo nei prossimi paragrafi a studiare il modo in cui, nel mondo contemporaneo, vengo pubblicati, e di conseguenza anche prodotti, gli articoli scientifici, evidenziando le criticità che emergono proprio da questo quadro di relazioni e contraddizioni non risolte.
Il sistema delle pubblicazioni¶
Peer Review: è “corretta” questa scienza?¶
Il meccansimo di peer reviewing è alla base dell’odierna scienza e ne è effettivamente il criterio di demarcazione. Le riviste scientifiche si avvalgono proprio di questo meccanismo per giudicare la veridicità degli articoli. Letteralmente si traduce come “revisione dei pari” e in tale consiste.
Per semplicità proviamo a seguire il percorso dell’articolo dal laboratorio-studio fino alla sua pubblicazione sul giornale scientifico.
Dall’autore all’editore.¶
Il ricercatore (o meglio, il leader del gruppo) che scrive l’articolo sceglie la testata giornalistica a cui chiedere la pubblicazione in funzione di alcuni parametri: l’importanza della scoperta, la linea editoriale del giornale, ecc.. ma anche di altre variabili che si rivelano discriminanti quali il costo delle immagini a colori o magari un credito di favori verso quella o quell’altra redazione.
Quindi una volta compiuta la scelta ( e si ritiene “scorretto | unfair” inviare lo stesso articolo a più testate contemporaneamente ) si procede inviando telematicamente l’articolo alla redazione.
Il costo varia molto a seconda della testata e della modalità di pubblicazione, come vedremo è oggi possibile pubblicare su riviste aperte al pubblico, ma author-pay, ad esempio il costo per pubblicare in OpenAccess SU Scientific Report di Nature si aggira sui 1500 €, previa accettazione dell’articolo.
Dall’editore al peer review: il doppio cieco¶
L’editore prende quindi in considerazione l’articolo e valuta se, in base alla sua linea editoriale e a prescindere dalla correttezza scientifica del medesimo, il giornale può o meno avere interesse nel pubblicare il lavoro.
Se l’articolo è “opportuno” viene inviato ai peer-reviewers, i revisori sono di solito una coppia di esperti della materia trattata nella pubblicazione, ma ciò varia molto in funzione del tema e del giornale. L’idea alla base della peer review è il doppio cieco, ovvero, per evitare possibili influenze tra l’autore e il revisore, sia positive che negative, i revisori non devono sapere chi ha prodotto l’articolo. Allo stesso tempo, gli autori non conoscono l’identità dei reviwer. C’è da dire tuttavia che questa simmetria di ignoranze viene spesso rotta. Molte volte, infatti, il revisore è a conoscenza del gruppo che sta valutando. Ciò avviene o per esplicita comunicazione della rivista, o per semplici deduzioni rispetto al tipo di lavoro pubblicato (spesso tra esperti di una stessa materia si è in pochi e ci si riconosce a vicenda per il taglio che si da’ all’articolo).
Il lavoro di revisione si aggira intorno alle 15-50 ore, a discrezione del revisore. Questo può poi inviare delle domande o fare richieste di correzioni che verranno recapitate all’autore tramite la redazione. Dopo questo scambio di mail, il revisore deciderà o meno se l’articolo è scientificamente corretto.
I margini del “corretto” sono una scelta editoriale a cui il revisore si deve attenere, quasi riempiendo una griglia di valutazione. Poi sarà di nuovo la casa editrice a scegliere.
Il ruolo della redazione nel decidere se un articolo è valido o meno scientificamente si manifesta a volte nella scelta del peer-reviewer, infatti, l’editore conosce le attitudini dei vari revisori e sceglie a chi di loro inviare l’articolo. In alcuni ambiti è possibile, per l’autore, indicare personalità al cui giudizio non si vorrebbe essere sottoposti per ragioni di conflitto di interessi.
Il lavoro del revisore:
La peer review non è pagata, è un lavoro che ogni partecipante alla comunità scientifica compie per l’esistenza della stessa.
Non considerare questo lavoro come una possibile fonte di reddito per il reviewer è una scelta adottata ai fini di marginalizzare fattori esterni che possano compromettere la professionalità nella correzione.
Il guadagno che invece un revisore può ottenere passa per il suggerimento di citazioni; come vedremo infatti le citazioni hanno una grande rilevanza nel mercato della scienza. Esse influenzano scelte economiche e salariali e sono caratterizzanti nella carriera di uno scienziato.
H index e indici bibliometrici(valutazioni del lavoratore)¶
L’attuale modalità di procedere della scienza (attraverso la pubblicazione di articoli su riviste specializzate) ha fatto emergere l’esigenza di un criterio ,per quanto possibile oggettivo, atto a valutare la produttività di uno scienziato. Tale produttività deve tener conto, da una parte, dell’effettiva quantità di articoli pubblicati, e dall’altra, dell’impatto che i “passi in avanti” contenuti in tali articoli hanno avuto sullo stato attuale della ricerca internazionale.
Un modo in cui è possibile misurare l’influenza di un articolo sulla comunità scientifica è quello di contare il numero di volte che tale articolo risulta citato in altre pubblicazioni.
A questo punto vediamo emergere due numeri in grado di quantificare la produttività di uno scienziato:
1) il numero di articoli pubblicati e 2) il numero totale di citazioni ottenute dall’autore.
Nel 2005 il fisico americano Jorge E. Hirsch propose il seguente indice, che in seguito ha preso il nome di h-index, come parametro in grado tenere conto dei due fattori appena menzionati:
“Uno scienziato ha un h-index pari a n se almeno n dei suoi Na articoli hanno n o più citazioni.”
Ad esempio se ho almeno 3 articoli con un numero di citazioni maggiore o uguale a 3 il mio h-index sarà proprio 3.
Questo indice è andato affermandosi negli anni come parametro di riferimento nella valutazione degli scienziati ed è dunque divenuto un fattore assai caratterizzante nella carriera scientifica. In molti paesi esso influenza pesantemente decisioni importanti come il fornire o meno dei finanziamenti o nel concedere o meno un posto di lavoro.
L’h-index è diventato determinante nel modellare il modo stesso in cui viene portata avanti la ricerca. Soprattutto nel momento in cui, data la limitatezza dei fondi, la continua concorrenza tra i vari gruppi può portare a confondere i mezzi con i fini… Difatti un ricercatore, per continuare a ricevere dei finanziamenti, è incentivato a svolgere il proprio lavoro puntando a mantenere un h-index elevato. Una tale spinta dovrebbe in teoria essere equivalente ad uno stimolo nel cercare dei risultati di maggiore impatto e in generale a condurre una ricerca di alta qualità. Tuttavia, l’ottimizzazione dell’h-index si può ottenere anche elobarando in modo strategico le modalità di pubblicazione.
In questa sezione faremo una rassegna delle principali criticità dell’h-index come indice bibliometrico e dei comportamenti “distorti” che la valutazione basata su tale indice induce nei gruppi di ricerca.
Innanzi tutto bisogna dire che, per il calcolo dell’h-index, è necessario avere un database che raccolga tutti gli articoli scientifici giudicati abbastanza rilevanti da poter contribuire alla valutazione degli autori citati su di essi. Non è affatto facile tracciare la dinamica delle citazioni nel denso network delle pubblicazioni scientifiche a livello internazionale. Le maggiori piattaforme di ricerca di questo tipo sono: Web of Science (Gruppo Thomson Reuters), Scopus (Elsevier) e Google Scholar tutte appartenenti a colossi multinazionali dell’informazione e della gestione dati. Pubblicare su una rivista scientifica non presente in nessuna di queste tre banche dati equivale, da un punto di vista bibliometrico, a non aver pubblicato nulla, in quanto le eventuali citazioni dell’articolo non verrebero considerate nel calcolo dei vari indici. Questo è il caso dei paesi in via di sviluppo, come il Brasile dove spesso le riviste giudicate di massima rilevanza a livello locale possono non essere inserite nei suddetti database. Sempre per i paesi in via di sviluppo, sussiste un’evidente disparità sull’autorevolezza dei periodici scientifici. Per dare un’idea quantitativa, solamente 27 riviste brasiliane fanno parte dell’ISI (Web of Science). Di queste, una delle più importanti è “l’Anais da Academia Brasileira de Cencias” (AABC) che possiede un impact factor di 0.895 e pubblica in media 4 volumi all’anno. Il corrispettivo americano di tale periodico è il PNAS con un impact factor di 9.64 e 52 volumi pubblicati ogni anno (entrambi i dati sono del 2007). Quindi un giovane ricercatore americano avrà maggior facilità , che sia essa geografica, linguistica o per ragioni di lobbing nell’accedere a case editoriali di maggior impatto e visibilità rispetto a un giovane brasiliano.
Riassumendo quanto sopra vogliamo sottolineare come alcuni indici biblimetrici sono ciechi rispetto ad alcuni gruppi di ricerca o di lavoratori della scienza per ragioni esterne alla validità della produzione scientifica in sé.
Un’altra questione da evidenziare consiste nell’impossibilità di comparare, tramite l’h-index o altri indici numerici, la produzione scientifica di ricercatori appartenenti ad aree di competenza differenti. Difatti le modalità stesse di pubblicazione e di citazione possono cambiare a seconda dell’ambito scientifico, d’altra parte, un tale confronto è di poca utilità.
Il problema sussiste nel momento in cui, all’interno della stessa area di ricerca, esistono delle sotto aree che presentano tempi caratteristici di pubblicazione differenti. Ad esempio, negli studi geologici, sono presenti sia ricerche di laboratorio (studio delle rocce attraverso il loro contenuto di isotopi) che ricerche sul campo (scavi archeologici). Dunque è chiaro che un bravissimo paleontologo avrà uno svantaggio “intrinseco” rispetto allo studioso di isotopi ed è altrettanto chiaro che è impossibile catturare questo tipo di informazione solamente attraverso l’h-index.
L’h-index è senz’altro un ottimo stimatore della produttività di uno scienziato in quanto pesa adeguatamente quantità e qualità complessiva all’interno della sua carriera. Tuttavia è evidente come lo svantaggio produttivo intrinseco che si accennava precedentemente sussista ancor di più nel momento in cui ad essere confrontati sono ricercatori le cui condizioni lavorative differiscono molto in termini di fondi e attrezzature. E’ evidente come un laboratorio che, per condurre la sua attività di ricerca, condivide uno strumento di misura con molti altri, potrà risultare meno produttivo rispetto ad un laboratorio che, grazie a dei finanziamenti più sostanziosi, possiede tutti gli strumenti di cui ha bisogno. Una situazione del genere esiste anche qui alla Sapienza in cui è presente un solo microscopio a scanning elettronico condiviso tra il vasto numero di laboratori che ne ha bisogno per ottenere immagini ad alta risoluzione di superfici nanometriche (spesso essenziali in pubblicazioni di fisica e chimica). Tale microscopio è accessibile a spese del gruppo, con costi orari, in questo caso, dove il tempo di utilizzo è assai richiesto e dispendioso, i ricercatori sono costretti a fare misure frettolose e ad accontentarsi di risultati che con più ore a disposizione si sarebbero potuti rendere migliori.
L’aspetto più interessante riguardo l’introduzione dell’h-index come parametro di produttività della scienza, risiede nei comportamenti che questo tipo di valutazione induce nel condurre il lavoro stesso della ricerca scientifica. In termini di h-index, viene premiato quel gruppo di ricerca che riesce a mantenere un’alta frequenza di pubblicazioni di impatto. Questa spinta ad avere sempre della ricerca fresca e appena sfornata prende il nome di “Backery effect” ed è direttamente connessa all’attitudine sempre più frequente di spezzettare i risultati di una singola ricerca in piccoli articoli, in ognuno dei quali vengono reintrodotti dall’inizio gli argomenti studiati. In questo modo si predilige una continua rielaborazione degli stessi articoli, dove si possono trovare intere parti di testo semplicemente ripetute con qualche modifica di forma; inoltre, nel momento in cui ci si riferisce a tali studi, si tendono a citare tutti gli articoli in questione. Dunque quello che poteva essere un solo articolo citato si trasforma in una miriade di piccoli articoli citati ognuno altrettante volte. Il vantaggio di questa strategia in termini di h-index è evidente, come lo è anche il vantaggio economico delle riviste stesse, visto l’alto costo delle submission; sia nelle pubblicazioni reader-pay con ingenti costi per le immagini o la pubblicazione cartacea, o nell’open-acces come prima accennato. Altra caratteristica del “Backery effect” è la tendenza a continuare ad indagare in campi di ricerca giudicati più “in voga”, nei quali ci si aspettano risultati con maggior sicurezza, invece che cercare di esplorare nuove aree nelle quali si potrebbe rischiare di non ottenere nulla di pubblicabile.
In particolare quest’ultimo atteggiamento mette in discussione la stessa ricerca scientifica come strumento finalizzato all’ampliamento della conoscenza del mondo.
Quanto costa questo meccanismo?¶
Le istituzioni universitarie, così come i singoli gruppi di ricerca o gli istituti privati si confrontano tutti col problema di sostenere economicamente la diffusione dei propri risultati scientifici. Nell’era degli indici bibliometrici e della caccia alle citazioni questo tipo di investimenti sono divenuti di estrema importanza. Essi avvengono i tre principali modalità:
1) Il pagamento della rivista sulla quale un gruppo di ricerca intende pubblicare in Open Access.
2) L’abbonamento alle riviste stesse da parte delle istituzioni (pubbliche o private), per far sì che il proprio personale o i propri studenti possano avere accesso a contenuti
indispensabili, sia per il lavoro di ricerca che per la didattica.
3)Le spese per partecipare a congressi e “missioni” in cui portare all’attenzione della comunità scientifica e dei finanziatori i propri risultati scientifici.
Per quanto riguarda il primo punto, il costo di una submission per pubblicare in Open Access va dai 500 ai 2000 euro a seconda della rivista. La pubblicazione di articoli non Open Access è invece gratuita, tuttavia, la visualizzazione dei contenuti sarà a pagamento per l’utente. Inoltre, per qualunque tipologia di pubblicazione, la rivista può richiedere un costo aggiuntivo per le immagini a colori o altri “optional” tipografici.
Riguardo gli abbonamenti, questi vengono gestiti a vari livelli dalle istituzioni scientifiche. La Sapienza, ad esempio, spende circa tre milioni di euro all’anno per abbonare tutti i suoi dipendenti e studenti alle riviste dei tre grandi editori Springer, Elsevier e Wiley. Il dipartimento di fisica, dal canto suo, ne spende altri 80000 all’anno per garantire l’accesso a riviste più settoriali ma indispensabili per condurre una buona attività di ricerca.
Sebbene questa spesa stia diminuendo di anno in anno, per un fisico della sapienza dotato di account istituzionale non vi sono grandi problemi di accesso alle riviste scientifiche main stream. Ma non tutte le università italiane possono permettersi una tale spessa annua e questo incide molto sulla disparità in termini di accessibilità e produzione scientifica. L’editore chiede all’istituzione richiedente una stima degli accessi ai contenuti che ci si aspetta in un dato intervallo di tempo ed in base a ciò decide il prezzo per abbonarsi.
Le ristrettezze economiche della nostra università hanno portato negli anni ad una selezione continua delle riviste richieste e la configurazione monopolistica del mercato editoriale ha portato a prediligere pubblicazioni anche costose rispetto a produzioni più settoriali, spostando l’onere economico dell’accessibilità prima sui dipartimenti poi sugli stessi gruppi di ricerca.
Sul tema della sponsorizzazione dei propri risultati ci sarebbe molto da dire, e le modalità variano molto rispetto all’ambito accademico. In generale la possibilità di partecipare ad una conferenza è una grande occasione per essere attivi nella propria comunità, sia offrendo spunti di ricerca agli altri gruppi che per avere un feedback immediato sull’impatto del proprio lavoro.
Le conferenze sono eventi organizzati a volte dalle case editrici a volte dalle facoltà o dai network di ricerca,l in ogni caso c’è un forte costo da sostenere sia per la partecipazione che per la mobilità del lavoratore o della lavoratrice che vi parteciperà. Le spese sono generalmente sostenute dai gruppi di ricerca.
Questo implica che gruppi con più fondi avranno uma maggiore possibilità e facilità di partecipare con frequenza a conferenze sul proprio ambito di ricerca, o addirittura di organizzarne.
Infine, nell’ottica che segna questo percorso, ovvero l’indagine sui flussi economici che intercorrono tra l’attività scientifica e il resto della società c’è da fare la seguente osservazione:
La produzione di scienza è sostenuta dai contribuenti attraverso il pagamento delle tasse e quindi dei salari dei docenti o dei ricercatori, è lecito chiedersi perché il lavoro che questi producono debba essere poi riacquistato, attraverso soldi pubblici e a costi molto maggiorati, per il tramite di aziende private, quali le case editrici, che ne traggono profitto.
Gli stessi contribuenti sono quindi costretti a pagare sia per garantire la produzione scientifica, sia, a causa dell’intermediario privato, per garantire l’accessibiltià e la circolazione dei risultati!
Criticità e proposte.¶
Come si declina il meccanismo di pubblicazione scientifica nella nostra società?¶
Quest’ultimo capitolo presenterà alcune delle criticità che il sistema attuale comporta e alcune strade per risolverle.
Ci concentreremo prima su come accedere alle pubblicazioni nello stato attuale per poi descrivere alcuni progetti che propongono una ristrutturazione sistemica. Concluderemo evidenziando i reali impedimenti affinché una libera circolazione della produzione scientifica sia realtà.
Per quanto riguarda l’accesso agli articoli scientifici, nel più semplice dei casi la nostra istituzione di riferimento ha un contratto con la casa editrice e per accedere al paper non dobbiamo far altro che connetterci al sito dell’editore da una rete interna all’istituto in questione. L’articolo potrà essere scaricato o consultato online. La maggior parte delle volte è possibile connettersi con un proxy tramite l’account personale e godere dei medesimi benefici da altrove.
Immaginiamo invece di voler leggere un articolo di cui conosciamo il titolo, o il DOI (l’identificativo digitale) e di trovarci nella situazione in cui la nostra istituzione di riferimento, se una ve n’è, non ha un abbonamento alla rivista dove l’articolo è stato pubblicato.
In questo caso le soluzioni per reperire gratuitamente il materiale scientifico seguono poche strade:
- La ricerca dell’articolo in archivi gratuiti:
Gli autori caricano spesso il loro lavoro, nella versione “preprint”, su archivi online, come Arxiv, RePEc, Hal. Questi archivi non hanno riconoscimento di alcun tipo, ma sono ad oggi lo strumento più diffuso per la lettura di articoli scientifici. Con versione “preprint” si intende l’articolo senza le correzioni proposte dalla casa editrice, questo è generalmente poco differente dalla versione definitiva.
E’ interessante notare come i database citati, senza dubbio i più conosciuti e utilizzati, sono progetti nati a partire dalle necessità di una particolare università (Cornell University) o istituto di ricerca (CSSD) di rimediare al costo dell’editoria scientifica.
Le case editrici hanno mutato il loro rapporto con gli archivi online negli anni
% Sharing policy
e sono ora inclini alla circolazione del materiale in formato preprint. Questo fatto non è altro che un chiaro segnale dell’anacronismo del sistema editoriale attuale; la possibilità di condividere materiale legalmente protetto in termini di sfruttamento commerciale è una delle vittorie del movimento OpenAccess.
- Il download dell’articolo dal sito ufficiale, tramite altre vie:
Accedendo, ad esempio tramite un proxy, attraverso un istituzione che ha accordi commerciali con la rivista in questione.
Questa pratica avviene in modi differenti:
Dalla richiesta ad amici e colleghi abbonati, all’utilizzo del portale scihub che automatizza questa pratica permettendo l’accesso diretto all’articolo. Sci-Hub è ad oggi molto utilizzato ed è diventato famoso anche per aver ricevuto una denuncia da Elsevier, major tra le case editrici scientifiche.
Questa pratica è al margine della legalità, e non sempre è scontato che i tuoi colleghi siano felici di condividere con te materiale di ricerca. Questo è il caso ad esempio della ricerca in chimica industriale o in medicina, dove la potenza dei brevetti prevarica la buona pratica della condivisione dei saperi.
- Il problema non si pone perché l’articolo è pubblicato in GoldOpenAccess.
In tal caso sembra poco sensato parlare di una soluzione, perché l’articolo è stato pubblicato da una rivista con il formato OpenAccess ed è quindi reperibile gratuitamente, e questa sembra la migliore soluzione.
In questo articolo del 2013 si osserva che la percentuale di pubblicazioni in OpenAccess su Scopus si attesta al 13 \% .
%www.nature.com/news/open-access-the-tru...
Con GoldOpenAccess s’intende la modalità di pubblicazione su riviste commerciali che non richiede un pagamento per la lettura dell’articolo. In quasi tutti i casi si tratta di riviste ‘author-pay’, ovvero per pubblicare l’autore deve pagare una quota che si aggira attorno ai 2000€. Le riviste in questione sono spesso particolari prodotti editoriali di una sola casa editrice, ad esempio “Scientific Reports” per Nature.
Spostare il problema economico dai lettori agli autori non è assimilabile ad una soluzione definitiva, anzi, come ben commenta questo articolo pubblicato su Roars si rischia che in tale contesto solo chi dispone di una ricca istituzione su cui appoggiarsi possa pubblicare il proprio lavoro.
In seguito commenteremo come si inserisce il GoldOpenAcces in nel sistema di valutazione della ricerca basato sulle citazioni.
Seguendo una di queste strade potremmo avere l’articolo in formato pdf sul nostro computer o limitarci alla versione online e liberamente consultarlo.
Queste pratiche, quando applicabili, assieme ai contratti editoriali dell’istituzione di riferimento, risolvono la necessità di reperire materiale, dell’eventuale studente, professore o ricercatrice che sia.
Ma l’accesso, quando possibile, non basta.
In molti casi infatti ciò che davvero interessa ai capitali in gioco nel grande ingranaggio dell’editoria scientifica è il meccanismo di Peer Reviewing e la legittimità scientifica che esso conferisce all’articolo.
Come abbiamo visto precedentemente gli indici bibliometrici e l’autorevolezza di un articolo sono ingredienti chiave della scienza moderna, ove la commercializzazione del risultato, l’assegnamento di risorse e la credibilità prevaricano il senso collettivo della scienza come ricerca ed accrescimento della comprensione del mondo.
Lo stesso protocollo OpenAccess per come proposto dalle grandi case editrici o dalle piccole imprese come scihub.com (diversa da sci-hub.bz!) o Pagepress (italiana) non rivoluziona affatto il mondo delle editoria, ma lo rinnova, aderendo a quei principi, o piuttosto a quei modi, che la Rete e le lotte per la condivisione dei saperi hanno sedimentato nei lettori, nelle persone che sostengono la ricerca, accademica e non.
Come prima accennato la pubblicazione in OpenAccess è per molti autori un’occasione per rendere il proprio articolo più fruibile rispetto a quelli pubblicati su riviste pay-to-read. Il costo della pubblicazione Open è infatti molto alto ed equivale ad un investimento in termini di H-index.
Abbiamo visto che in un contesto di precarietà lavorativa e di appiattimento del merito e della carriera su indici numerici, l’articolo, in quanto risoluzione di un dilemma scientifico, perde importanza. Esso è uno strumento per valorizzare la prestazione lavorativa attraverso l’accumulazione di citazioni, che sono più facilmente ottenibili con una pubblicazione OpenAccess. Concedendo l’accesso libero ai contenuti di una rivista si rinuncia ad un introito ingente ma si mantiene l’autorità nel processo di produzione del sapere, non stupisce allora che la grande editoria abbia rinunciato alla lotta per il pay-to-read in favore di un controllo totale sul processo di Peer Reviewing di cui è principale (media-)attrice.
Il GoldOpenAccess non cambia i rapporti tra sistema editoriale e ricercatori, le distorsioni che un sistema di valutazione del lavoro e del lavoratore basato sulla produttività comporta possono essere addirittura incentivate con la possibilità di acquistare un posto privilegiato nella vetrina del mercato del sapere.
Sembra che le riviste pongano un aut-aut tra un sapere fruibile a tutti (author-pay) – ma pubblicato a spese dell’autore, e quindi proveniente solo da una ristretta cerchia della comunità accademica – e le pari opportunità nel promuovere la propria ricerca (pay-to-read) – un mercato del sapere in cui tutti possono pubblicare un risultato senza particolari sforzi economici ma che ripropone tutte le contraddizioni di un sapere chiuso prima elencate.
Un’ulteriore critica efficace che si può portare al meccanismo editoriale delle valutazioni numeriche e degli articoli in cerca di citazioni riguarda uno degli aspetti fondamentali del metodo scientifico, ovvero la riproducibilità degli esperimenti. Buona pratica di ciascun campo di ricerca dovrebbe essere la verifica meticolosa dei risultati che quotidianamente vengono proposti alla comunità internazionale. sia perché essa può fornire prospettive innovative, sia perché è essenziale poter basarsi su risultati certi.
Tuttavia ci sono numerosi indizi che negli ultimi anni questa pratica sia venuta meno e che la comunità si trova a fronteggiare un problema sul tema della riproducibilità degli esperimenti. Noi crediamo che questo fenomeno sia legato al fatto che articoli di verifica, riproducenti risultati già noti, non attirano (a meno di eccezionali smentite) la coda di citazioni che si potrebbero ottenere investendo tempo e denaro in un esperimento differente.
www.nature.com/news/reproducibility-1.1...
Conclusioni e proposte.
La conclusione di questo percorso d’indagine è che il meccanismo di pubblicazione è una componente fondamentale della produzione scientifica moderna, come abbiamo già detto essendo è legato a doppio filo con la valutazione e la retribuzione dei lavoratori della scienza e ne influenza il comportamento e le scelte, scientifiche e personali. Queste scelte non possono che essere volte ad aumentare la propria produzione e popolarità nell’accademia, al fine di avere indici migliori e maggiori citazioni.
D’altro canto ci siamo resi conto nel corso della ricerca che ciò che per anni è stato sventolato quale vessillo dell’accessibilità al sapere e alla libera fruizione è stato travisato dalle lobby dell’editoria. L’openAccess si è tradotto in Gold OA, ovvero nella possibilità di guadagnare popolarità e accessibilità pagando una quota non indifferente. A scapito dei piccoli gruppi di ricerca e ancor più degli istituti non occidentali.
Infine ci siamo resi conto che il lavoro di produzione e revisione è svolto unicamente dalle componenti accademiche, che l’autorevolezza scientifica di un giornale è garantita attraverso il lavoro non pagato dei referee e che le case editrici intervengono come un ente mediatore esterno a questo processo. CI chiediamo dunque perche la comunità scientifica tutta non scelga di abbandonare il fardello economico e culturale dell’edioria privata e non si faccia carico da sé del processo di revisione e pubblicazione.
La risposta è certamente nell’inerzia e nell’abitudine, nel fatto che il sistema di autorevolezza di cui molti¶
Non vogliamo mettere da parte l’impeto e la passione per la scoperta che anima molti di noi studenti, studentesse, ricercatrici, e ricercatori, tuttavia chi di noi ha dovuto fare delle scelte in tema di pubblicazione ha da subito notato le sottigliezze che esso presenta
L’accademia è pronta per assumersi il ruolo di mediatrice di se stessa, infatti già tutti gli attori fanno parte della medesima, i costi sono già ampliamente sostenuti dalle istituzioni pubbliche e il lavoro di editoria non è un granche se si considera la transizione al digitale.
In questo contesto rimane solo la figura del giornale, che è la comunità di ricercatori più attenti al tale tema trattato e che sanno scegliere le novità di pregio e diffonderle. insomma un giornale deve stare sul pezzo.
Episcience è una bellissima dimostrazione di questo, e viene pagato con i soldi delle istituzioni e assicura fruibilità e parità di accesso, sia al sapere che alla possibilità di contribuire ad esso!
infine bisogna dire che un ampio problema è che chi fa una ricerca fca la mette sui giornali ad impact factor perche così vale di più. sta cosa ne parla la tipa di pisa!
Quello che attualmente impedisce una transizione alla perr-review autogestita dalla comunità scientifica in stile episcience, è il bisogno da parte di chi si affaccia al mondo della ricerca di dover promuovere il proprio lavoro in modo efficace. Dunque si potrebbe in ogni momento decidere tutti insieme di pubblicare su topolino e si potrebbe senza dubbio sostenere “tecnicamente” questa situazione ma nessuno lo fa perchè cominciare da soli mentre tutti fanno come prima. Dovrebbero cominciare i BIG.
In un contesto economico
Se da un lato, queste, si poggiano su progetti plurimamente decorati da denunce di violazione del copyright come sci-hub, dall’altro fanno affidamento sulla buona pratica dei ricercatori
Mettemo tutto a valore!!!!!
Appunto estemporaneo:
Proprio in virtù del primo sbarramento editoriale sta diventando sempre più importante la “forma” con la quale si presenta il contenuto scientifico di un articolo (figure accattivanti, uso di parole chiave ecc…). Non a caso nel nostro dipartimento si è tenuto un corso di dottorato nel quale si è fatta una rassegna di quali sono gli standard da adottare per pubblicare su Nature.