The West Indian Economy and the Abolition of the British Slave Trade

Presentazione molto breve di: David Beck Ryden, Does Decline Make Sense? The West Indian Economy and the Abolition of the British Slave Trade, in «Journal of Interdisciplinary History», XXXI, 3 (Winter, 2001), pp. 347-374. Corso di "World History" del prof. Capuzzo, a.a. 2010-11.
118 KB, Portable Document Format (.pdf)
Preview: small, medium, large
Updated by officiallocalobserver 2022-06-24
 

Aggiunto gli appunti che avevo preparato durante la presentazione.

RYDEN D. B., Does Decline Make Sense? The West Indian Economy and the Abolition of the British Slave Trade, in «Journal of Interdisciplinary History», XXXI, 3 (Winter, 2001), 347-374.

Table of Contents:

  1. The Rise and Fall of the Decline Thesis
  2. The Freight Rate Effect on Sugar Prices
  3. The Inflationary Effect on Sugar Prices
  4. Real Muscovado Sugar Prices from Jamaica
  5. Overproduction and the Introduction of a Free Market
  6. Revision and Resurrection of the Decline Thesis

Lettura tradizionale: (metà XIX sec. – anni 30 XX sec.) l’abolizione della tratta e della schiavitù nell’Impero è vista come un successo esclusivo della coscienza abolizionista propagandata dalla filantropia britannica della fine del XVIII sec.

Thomas Clarkson (1760–1846): «convergenza divinamente guidata fra pensatori cristiani e il cambiamento sociale».
La sua coscienza abolizionista si è formata in ambiente quacchero inglese. Di famiglia anglicana, era destinato ad una carriera ecclesiastica che decide di interrompere proprio in concomitanza con l’avvicinamento ai quaccheri e all’attivismo anti-schiavista. Creò un “Comitato per l’abolizione della tratta degli schiavi” (sebbene fosse contro la schiavitù tout court decidono di procedere per gradi); fu in Francia nel 1789-90 per propagandare le sue idee nel nuovo governo rivoluzionario e per questo la sua battaglia trovò grossi ostacoli in patria, costringendolo a ritirarsi per un breve periodo a vita privata. Torna all’attività nel 1804 e fino al 1807 (anno dell’abolizione della tratta). Nel 1823 gli attivisti lo richiamano nella “Anti-Slavery Society” per continuare la battaglia (continue petizioni rivolte al parlamento) fino al 1833 (legge sull’abolizione della schiavitù nell’Impero Britannico).
Da: Hugh Brogan, ‘Clarkson, Thomas (1760–1846)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, May 2009 www.oxforddnb.com /view/article/5545, accessed 18 Oct 2010

Reginald Coupland (1884-1952): principale sostenitore delle tesi clarksoniane nei primi del Novecento. Sebbene l’Impero, dopo la perdita delle colonie del Nord-America, avesse fondamentale necessità di mantenere lo status quo ovunque (compresa la tratta e i rapporti bianchi-neri), il successo del 1807-1833 è dovuto alla caparbietà degli abolizionisti che hanno saputo risvegliare le coscienze nazionali, ponendo queste istanze al di sopra degli interessi economici.

Decline Thesis: (metà XX sec.) l’abolizione è vista come scelta necessaria operata dalla Gran Bretagna nel momento in cui la schiavitù non era più conveniente a livello economico.

Eric Williams (1911-1981): nato nell’isola di Trinidad (allora parte dell Indie Occidentali Britanniche), divenne chief minister (1956-9) e poi premier (1959-62), conducendo il processo di indipendenza dal Regno Unito nel 1962, restando al vertice della Repubblica di Trinidad e Tobago.
Da: Kenneth Morgan, ‘Williams, Eric Eustace (1911–1981)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, May 2008 www.oxforddnb.com/view/article/65183, accessed 17 Oct 2010
Nel suo Capitalism and Slavery (1941), si fa portatore della tesi del declino (o di W.), in contrasto alla lettura tradizionale. Da un punto di vista la sua analisi anticipa una lettura che i marxisti faranno della colonizzazione, evidenziando il rapporto prosperità del Regno Unito – sfruttamento delle colonie. Per il resto, però, la sua analisi riprende dalla teoria neoclassica (Ragatz) e sottolinea che:

a) dopo la guerra dei Sette Anni (1756-63), e la conseguente acquisizione di nuove isole “dello zucchero” nei Caraibi (Indie Occidentali Britanniche), la concorrenza interna all’Impero, chiuso secondo il protezionismo del Navigation Act, è troppo forte (sovrapproduzione: produzione più che raddoppiata);

b) dopo la Rivoluzione Americana (1775-1783) e la breve crisi economica interna che seguì, le Indie Occidentali (sostanzialmente monoculture di canna da zucchero) ebbero grossi problemi di approvvigionamento di viveri di prima necessità, solitamente provenienti dal Nord America (inflazione generi prima necessità – raddoppio del prezzo -, dimezzamento del potere d’acquisto, difficoltà a mantenere gli schiavi);
Per W. tutto ciò evidenzia il grado di disfacimento in cui si trovava il sistema mercantilistico, quindi la fondamentale artificiosità della ricchezza delle Indie Occidentali. Il sistema schiavistico inizierebbe il suo lento ma inesorabile declino economico, che lo rende un metodo arcano di produzione che porta ad una sovrapproduzione. Per questo è uno spietato critico delle tesi di Coupland «che ha sacrificato il rigore scientifico al sentimentalismo».

Empirismo (II metà XX sec.): il grande richiamo di Williams all’empirismo nelle analisi ha portato, negli anni Settanta, ad una lettura neo-clarksoniana della vicenda.
Nel saggio di Seymour Drescher, Econocide (1977), si mettono in evidenza i fondamentali su cui poggiava l’economia schiavista dell Indie Occidentali Britanniche nei cinquant’anni precedenti l’abolizione. I punti cui l’autore richiamo sono quattro:

a) elasticità dell’offerta di schiavi africani;
b) abilità dei coltivatori di zucchero di aumentare la produzione (ultimi 50 anni dall’abolizione);
c) crescita del rapporto esportazioni/importazioni nei confronti della Gran Bretagna (di cui le I.O.B. erano il principale partner commerciale extra-continentale).
d) una lunga tendenza inflazionistica sui prezzi dello zucchero venduto a Londra (no sovrapproduzione)
Per questi motivi, l’abolizione della tratta e della schiavitù si è rivelata un econocidio per la Gran Bretagna, essendo il sistema – e al suo interno, la schiavitù – in uno stato di forte espansione.

David Beck Ryden: opera una revisione della tesi del declino.
La gran parte degli storici, dopo Econocide, ha recepito questa tesi e ha visto l’abolizione della schiavitù come un risultato del capitalismo e del cambiamento sociale annesso, piuttosto che come un modo di spingere l’Impero Britannico verso una nuova era.
Ryden trova un punto debole in entrambe le voci del dibattito: l’inflazione dei prezzi dello zucchero venduto a Londra. Per Williams non ha senso e non lo spiega. Drescher, invece, lo usa come arma per ribadire che non vi fu sovrapproduzione. Ryden sottolinea alcuni limiti:

a) sono prezzi parziali (ci dicono poco di quanto fosse pagato lo zucchero al produttore, al netto delle spese di trasporto) → bisogna guardare ai prezzi in loco;

b) la letteratura dice che nel XVII sec. gli sforzi nel tracciare nuove rotte e nuovi metodi di commercio portano ad una rapida discesa dei costi di trasporto, gettando le basi per la crescita delle colonie; questo in condizioni di normalità. Non fu così però nel mezzo secolo che precede l’abolizione. Le guerre (franco-indiana; rivoluzione americana; rivoluzione francese e le guerre napoleoniche) iniziarono a gonfiare i prezzi di trasporto atlantico per svariati motivi (mancanza di legno da costruzione, necessità di sicurezza – cannoni, persone che sappiano usarli salari, convogli privati o statali, diminuzione dell’offerta di navi, navi costruite in Europa più costose di quelle costruite nelle Tredici Colonie, ma dopo la rivoluzione sono le uniche cui rivolgersi).

c) Elizabeth B. Schumpeter: studia empiricamente l’effetto delle guerre nell’economia britannica del XVIII sec. e mette a punto un indice dei prezzi largamente usato per il XVII-XVIII sec. In termini prettamente keynesiani: spesa pubblica → aumento del circolante → aumento dei consumi → quindi di prezzi e salari

d) 1797: debito pubblico alle stelle: le voci sull’invasione della Francia creano anche una corsa agli sportelli prima nelle piccole banche e poi nella Bank of England.

→ Prezzi in loco + corretti al netto dei costi di trasporto + corretti per gli effetti inflattivi delle spese di guerra (indice Schumpeter): tendenziale calo dei rendimenti dell’industria zuccheriera lungo il XVIII sec.
Inizialmente la discesa dei prezzi reali ha beneficiato solo il consumatore. Poi, mentre in Jamaica (problema archivio: crop account) si cercava di innovare (aratro, nuove tecniche di irrigazione), si perdeva di vista il dato reale: aumentare la produzione e l’offerta non avrebbe aiutato l’industria zuccheriera fuori da un contesto mercantilista di sovrapproduzione e in un nuovo contesto di libero scambio (dal 1790 non sono più protetti dal N.A.).
Già alcuni pamphlet dell’inizio del XIX sec. sottolineavano la doppia pressione: da un lato i maggiori costi di trasporto, dall’altro l’apertura agli altri mercati e quindi il dover sottostare alle leggi della domanda e dell’offerta del mercato europeo (aggravato dalla rivoluzione di Haiti, a seguito della quale il mercato inglese si apre alla Francia e alla Spagna per sopperire alla mancata offerta, facendo schizzare in alto i prezzi). Il tutto crea uno svantaggio per le Indie Occidentali Britanniche, specie in relazione alla persistenza del N.A. che non permette alle colonie di trattare direttamentecon i mercati non britannici (paradossalmente, proprio per questo i produttori nelle colonie chiedevano un maggiore laissez faireal Parlamento).

 
   

wow!
Thanks a lot. Really helpful. Moving to USA? The Local Observer ( https://www.localobserverdaily.com ) will help you find the best and worst places to live, raise a family or retire in United States.